Un Regno Unito completamente indipendente e fuori dall’Unione europea sarebbe più sicuro e più gestibile sul fronte della lotta contro il terrorismo: questo è quanto negli ultimi giorni diversi esponenti a favore della Brexit hanno iniziato a sostenere, cavalcando l’onda emotiva dei fatti di Bruxelles. E, mentre la capitale belga è ancora nel terrore per gli attentati all’aeroporto e alla metropolitana di martedì 22 marzo, e mentre si cerca ancora di inquadrare i tragici eventi e di capire chi siano stati veramente i responsabili delle esplosioni, a Londra c’è chi approfitta della situazione per dire che sì, un regno di sua maestà non soggetto alle regole dei palazzi di vetro di Bruxelles potrebbe gestire molto meglio la sua lotta al sedicente Stato islamico e ai suoi pericolosi simpatizzanti.

Il primo a lanciare il sasso dopo gli attentati è stato Richard Dearlove, ex capo dell’MI6, la sezione estera dell’intelligence britannica, che ha detto chiaramente come gli apparati di sicurezza dell’Ue abbiano “scarsa influenza” e che lasciare l’Unione europea rafforzerebbe la sicurezza della Gran Bretagna. E non è servita a nulla la presa di posizione del ministro dell’Interno, Theresa May, che ha sostenuto come ci siano “buone ragioni” per stare nell’Ue anche sul fronte della lotta al terrore: con Nigel Farage, leader dell’Ukip alleato del Movimento 5 Stelle all’europarlamento, il fronte degli anti-Unione si è infatti subito rafforzato proprio partendo dalle bombe di Bruxelles. Le regole europee “consentono la libera circolazione dei terroristi, delle bande criminali e dei kalashnikov“, ha detto il leader euroscettico. Ricevendo subito accuse di sciacallaggio, soprattutto dalla sinistra del partito laburista.

A dare manforte agli anti-Ue sono stati, però, anche gli americani. Al di là del candidato repubblicano Donald Trump, che ha subito identificato nell’immigrazione in Europa una delle cause del terrorismo, nella giornata di venerdì 25 marzo anche un ex direttore della Cia ha tuonato contro l’Unione. Parlando con la Bbc, Michael Hayden, ora in pensione ma comunque ancora molto influente negli Stati Uniti, ha chiaramente detto che Bruxelles “in certe situazioni si mette di mezzo”, essendo quindi un ostacolo all’intelligence. L’Ue quindi rallenterebbe il fronte della sicurezza, anche se Hayden non ha specificato esattamente come. Una dichiarazione che comunque ha fatto subito esultare i britannici che vogliono uscire dal recinto comunitario, contenti di avere un così forte sostegno a tre mesi dal referendum per la Brexit, che si terrà il prossimo 23 giugno.

Il premier David Cameron, che ufficialmente quella Brexit non la vuole nonostante sia stato proprio lui a indire il referendum, per “dare una voce” ai britannici, ha ricordato come non sia “appropriato” usare i fatti di Bruxelles per tirare l’acqua al mulino dell’euroscetticismo. Sempre sul fronte governativo, altri ministri e parlamentari di maggioranza hanno poi ricordato come tanti dei terroristi arrestati negli ultimi anni – almeno sette grandi attentati sono stati sventati negli ultimi 18 mesi nel Regno Unito, stando a quanto detto recentemente dal ministro dell’Interno – fossero cittadini britannici oppure stranieri residenti nel Regno Unito da tanto tempo. Spesso ‘lupi solitari’, persone che progettavano stragi nell’ombra apparentemente senza alcun legame con le reti terroristiche vere e proprie. E di sicuro non migranti, profughi o rifugiati e non persone arrivate a Dover, sul lato britannico del Canale della Manica, dal campo profughi di Calais, sul lato francese. A Bruxelles ancora si cerca di identificare tutte le vittime degli attentati del 22 marzo, ma a Londra c’è di sicuro un’altra vittima: la serenità nel dibattito pro o contro l’Unione europea.

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