Palazzi & Potere

Lotta al terrorismo dopo la strage di Parigi: più sicurezza e meno libertà? Ecco le ricette della politica

Mentre la Francia chiude le frontiere, intensifica i controlli e medita una modifica della Costituzione, in Italia si apre il dibattito. Il presidente della Repubblica Mattarella in campo: "Guerra globale, tutelare i nostri concittadini senza rinunciare alle libertà conquistate". Carbone (Pd) evoca gli anni di piombo: “Per battere l’Isis ci vuole una legislazione straordinaria come nel 1975”. Tofalo (M5S): “Nessuna compressione dei diritti, va potenziata l’attività di intelligence”. Vendola (Sel): “Non si può rinunciare ad andare a un concerto o a cena fuori, serve equilibrio”. Rampelli (FdI): “Le restrizioni non possono colpire tutti gli italiani indiscriminatamente”

C’è chi arriva ad invocare addirittura “leggi straordinarie”, sul modello di quelle varate negli ‘anni di piombo’ contro le Brigate Rosse, come il democratico Ernesto Carbone. E chi, invece, come il grillino Angelo Tofalo, rifiuta categoricamente l’equazione ‘più sicurezza uguale meno libertà’. Non manca neppure chi, a partire dal leader di Sinistra ecologia e libertà Nichi Vendola, indica la soluzione nel giusto equilibrio tra esigenze di prevenzione e garanzia dei diritti civili. A pochi giorni dagli attentati che hanno insanguinato Parigi, in Italia la politica si interroga sulle possibili risposte. Proprio mentre in Francia, chiuse le frontiere e intensificati i controlli su chi entra ed esce dal Paese, si fa largo l’ipotesi di modificare perfino la Costituzione per assicurare alle autorità di polizia strumenti efficaci nella lotta al terrorismo. Insomma, la nuova parola d’ordine in Europa è “più sicurezza”. Ma a quale prezzo?.

MATTARELLA IN CAMPO  Consapevole della posta in gioco, anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella scende in campo mettendo in guardia davanti ai rischi: “Il terrore vuole snaturarci. Ma noi non ci piegheremo. Non ci faremo rubare il nostro modello di vita e il nostro futuro”, ha ammonito parlando a Firenze.“Quello del terrorismo è un tentativo di guerra globale dalle modalità inedite. Dobbiamo essere uniti, determinati e insieme affermare i principi del nostro umanesimo”. E poi: “Dobbiamo garantire sicurezza ai nostri concittadini senza rinunciare alle libertà conquistate, affrontare il fanatismo e l’estremismo con assoluta fermezza, e promuovere il dialogo fra le culture e la tolleranza”.  Un discorso chiaro quello del capo dello Stato, che segue di qualche giorno l’intervento del procuratore nazionale antiterrorismo Franco Roberti: “Forse dobbiamo essere pronti a rinunciare ad alcune delle nostre libertà personali, in particolare dal punto di vista della comunicazione”, suggeriva il magistrato all’indomani della strage consumatasi nella capitale francese. Una ricetta amara e dolorosa. Ma cosa ne pensa la politica? Ilfattoquotidiano.it ha provato a sondare gli umori dei parlamentari dei vari partiti.

ANNI DI PIOMBO – Totalmente d’accordo con Roberti, Carbone opta per la vecchia massima a mali estremi, estremi rimedi. “In questo momento siamo a livello di allerta 2, quello immediatamente precedente un attacco terroristico – ricorda il responsabile pubblica amministrazione, innovazione e made in Italy della segreteria Pd –. Di conseguenza la priorità non può che essere quella di garantire la sicurezza nazionale”. La ricetta di Carbone ripesca un precedente storico. “Occorre varare una legislazione straordinaria, come avvenne negli anni 70-80 – conclude –. Anche se allora il nemico da battere era il terrorismo interno”. Un nemico, quello del brigatismo rosso, contro il quale, nel 1975, la legge Reale introdusse un vero e proprio giro di vite. Estendendo, innanzitutto, il ricorso della custodia cautelare anche in assenza di flagranza di reato, consentendo di fatto un fermo preventivo di polizia di 96 ore. E, soprattutto, permettendo alle forze dell’ordine l’uso legittimo delle armi non solo nei casi di violenza o resistenza ma anche per “impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”. Norme discusse, sopravvissute ad una sentenza della Corte Costituzionale, che ne certificò la legittimità, e al referendum abrogativo del 1978 indetto su iniziativa del Partito radicale (il 76,5% votò per il suo mantenimento). Come ad una consultazione popolare sopravvisse anche la legge Cossiga del 1980, che inasprì le pene per i reati di terrorismo, ampliando ulteriormente i poteri della polizia.

TIREREMO DIRITTI  Articolato anche il discorso di Andrea Mazziotti (Scelta Civica), presidente della commissione Affari costituzionali della Camera. Secondo il quale non vanno assolutamente sacrificati i diritti costituzionali e di libertà per i quali hanno combattuto i padri costituenti, “i valori che ci distinguono da questi assassini, il nostro stile di vita. Cedere al populismo e abbandonare questi principi di democrazia sarebbe un regalo ai terroristi”. Per Mazziotti, i diritti più a rischio in questi casi sono quelli alla libertà personale e alla privacy, ma, afferma, “è sicuramente possibile conciliare le esigenze di sicurezza con i principi costituzionali”. In più, aggiunge, per combattere il terrorismo, “più che limitazioni ai diritti dei cittadini servono maggiori investimenti nelle attività di intelligence e a sostegno delle forze dell’ordine. Un rafforzamento dei controlli, ad esempio rendendo più semplici le perquisizioni nei luoghi pubblici, può sicuramente essere ottenuto senza violare la Costituzione”.

QUESTIONE D’INTELLIGENCE – Di restrizioni della libertà non vuole, invece, neppure sentir parlare Angelo Tofalo, deputato del Movimento 5 Stelle e componente del Copasir, l’organismo parlamentare di controllo sui servizi segreti. Molto critico anche verso le recenti scelte del governo, a cominciare dal decreto antiterrorismo varato a febbraio sulla scia dell’attentato, sempre a Parigi, nella redazione di Charlie Hebdo. “Un provvedimento che contiene misure perfino controproducenti, come l’introduzione della black list dei siti web – spiega il parlamentare grillino –. Poteva funzionare una decina di anni fa per prevenire quella radicalizzazione del web con la quale dobbiamo, ormai, fare oggi i conti”. Insomma, una misura tardiva secondo Tofalo: “Oscurare quei siti ritenuti a vario titolo responsabili di istigare l’odio religioso o di fiancheggiare gruppi terroristici, è del tutto controproducente perché impedisce di monitorarli, precludendo o danneggiando le indagini”. La soluzione, secondo l’esponente del M5S è un’altra. “Occorre investire di più in attività di intelligence come chiedevamo di fare con un emendamento alla legge di Stabilità – prosegue Tofalo –. Il terrorismo si combatte con le orecchie per terra: servono più linguisti, più tecnologia, più software e più HumInt”. Ossia più Human Intelligence, l’attività che si espleta con la raccolta di informazioni tramite contatti interpersonali. “Un’attività che, invece, è stata praticamente disintegrata”, accusa il deputato grillino. Ma cosa fare ora dopo l’attacco al cuore della Francia? “Di certo non basta, come sta facendo il ministro Alfano, dislocare un po’ di soldati in giro per l’Italia: servono magari per dare la percezione ai cittadini della presenza dello Stato ma non risolvono il problema – continua Tofalo –. Occorrono competenze specifiche, strumenti di lavoro adeguati e un sistema efficiente di scambio di informazioni tra i diversi corpi delle forze dell’ordine e le agenzie dei servizi”. Non solo. “Il terrorismo oggi è un problema internazionale. Bene i controlli alle frontiere, che non pregiudicano la privacy, ma secondo nuovi protocolli: devono essere eseguiti sempre a prescindere dal livello di allerta – aggiunge il componente del Copasir –. Inoltre va rafforzata la sicurezza cyber all’interno del Dipartimento informazioni per la sicurezza della presidenza del Consiglio (Dis), che coordina le nostre agenzie dei servizi, e garantito un corretto scambio di informazioni tra i Paesi dell’Unione europea attraverso un unico database”. Ma non basta. “Servono infatti anche norme per la tracciabilità delle armi e delle persone – conclude Tofalo –. E’ inammissibile che le armi che forniamo ai curdi finiscano in mano ai miliziani dell’Isis così come è inaccettabile ritrovare tra i nostri nemici le persone che contribuiamo ad addestrare contro il terrorismo”.

MANEGGIARE CON CAUTELA – “Sacrificare le nostre libertà per presidiare la sicurezza nazionale non è accettabile: a Parigi è stata colpita la libertà di andare al teatro, di andare a cena fuori o a sentire un concerto e a questo non possiamo rinunciare – spiega a sua volta il leader di Sel, Nichi Vendola.–. La vera sfida è preservare il giusto equilibrio tra l’esigenza di sicurezza e la garanzia di libertà”. Per l’ex governatore della Puglia, contro il Daesh, il sedicente Stato Islamico, è necessaria “un’azione internazionale coordinata”, evitando di procedere “in ordine sparso”. Fermo restando il contributo dell’intelligence e degli apparati di sicurezza per presidiare il territorio, qualunque sforzo contro l’Isis non può prescindere dalla risposta ad alcune domande. “Chi vende le armi al Califfo? Chi compra il petrolio dal Daesh? Chi sono i suoi complici?”, si chiede Vendola. Per nulla entusiasta dell’idea di dover sacrificare un pezzo di libertà alle ragioni della sicurezza, Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto di Montecitorio, spiega che la questione è di quelle estremamente complicate. “Personalmente non ho mai digerito le limitazioni alla libertà di spostamento anche se, dopo l’11 settembre, ci ho fatto l’abitudine – ammette –. Quanto alla privacy e alla riservatezza delle comunicazioni non so se sarebbe giusto rinunciarci, ma se accadesse non mi meraviglierei”. Disposto ad un sacrificio, ma entro certi limiti, anche Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia. “Di fronte ad una situazione di emergenza credo ci sia disponibilità a cedere una parte di libertà per garantire la sicurezza nazionale – dichiara il deputato della destra –. Ma ritengo assurdo che eventuali restrizioni colpiscano in maniera indiscriminata tutti i cittadini”. Servono invece interventi mirati. “Occorre indirizzare queste misure – conclude infatti Rampelli – nei confronti di chi è arrivato in Italia negli ultimi vent’anni ed è sospettato di legami o connivenza, ieri con Al Qaeda e oggi con l’Isis”.

Twitter: @Antonio_Pitoni