Un piano di uscita dall’euro, il cosiddetto piano B di riserva, non è mai stato nei pensieri di Alexis Tsipras che non ha pensato a questa eventualità a differenza dell’ex-ministro delle Finanze Varoufakis. Una strategia che si è rivelata priva di prospettive alternative e poco lungimirante sugli scenari che sarebbero potuti sorgere in caso di persistente rifiuto da parte dell’Eurogruppo di accettare le richieste della controparte greca, che come è noto ha capitolato completamente alle condizioni sulla carta inaccettabili per qualunque parte, ma che Tsipras ha deciso di sottoporre al suo Parlamento che le ha approvate nonostante il rifiuto netto del referendum al memorandum.

Se dunque Tsipras non ha mai preparato un serio piano di riserva, non si può certo dire che la Commissione e l’Eurogruppo non abbiano invece pensato a questa possibilità. La notizia è stata riportata dal quotidiano greco Kathimerini che racconta delle fasi convulse che hanno preceduto la data del 30 giugno, ultimo giorno utile per versare le rate del debito greco al Fmi e la domenica del 5 luglio quando i greci votarono contro il memorandum. Viene costituito un gruppo speciale di scopo formato da 15 persone all’interno della Commissione Europea che ha il compito di preparare la Grexit, l’uscita della Grecia dalla moneta unica nel caso in cui il governo greco avesse deciso di percorrere fino in fondo la strada del rifiuto all’austerity.

Il gruppo dei 15 prepara un libro di 200 pagine circa, nel quale sono previste le conseguenze che potrebbero verificarsi con un’uscita dall’euro da parte della Grecia: si prende in esame il controllo di capitali con una probabile stretta su quelli in uscita; la denuncia del Trattato di Schengen che porterebbe al ripristino del controllo delle frontiere nazionali e in ultima istanza l’abbandono della stessa Unione Europea che avrebbe forti ripercussioni geopolitiche sui delicati equilibri che reggono l’asse Ue-Nato nell’Europa Orientale. C’è stanchezza e irritazione nei confronti della Grecia che viene considerata come un partner inaffidabile e sotto alcuni profili colpevole di mettere a repentaglio la stabilità del castello di carte europeo.

24 ore dopo il referendum circolano indiscrezioni di un summit straordinario tenutosi dall’Eurogruppo e dalla Commissione proprio nell’eventualità di preparare l’espulsione unilaterale della Grecia dall’eurozona, ipotesi non contemplata dalla lettera dei trattati e che a suo modo avrebbe rappresentato un pericoloso precedente. Indiscrezioni che non trovano conferma fino al 7 luglio, quando il presidente della Commissione Jean Claude Juncker si presenta davanti ai cronisti visibilmente alterato e spazientito dando conferma dell’esistenza del piano di uscita della Grecia dall’eurozona. Tsipras sarebbe stato informato della realizzazione del progetto da parte dell’Eurogruppo e della Commissione, che gli avrebbero appunto prospettato le conseguenze economiche e giuridiche che una Grexit avrebbe comportato.

Tutto questo, secondo le fonti interne della Commissione, sarebbe stato preparato nei minimi dettagli nella massima segretezza da un pool di esperti  proprio per scongiurare che la voce fosse arrivata ai mercati, che spesso si muovono anche quando le notizie a disposizione non sono confermate. Nel caso della Grexit la Commissione ci teneva a non far trapelare queste informazioni, proprio per non ingenerare quel panico che avrebbe portato probabilmente a una dissoluzione dell’eurozona non programmata, compulsiva e ancora una volta diretta dai mercati. Il pool di esperti perciò si è messo al lavoro alacremente a partire dalla fine di giugno e ha intensificato i suoi lavori dall’annuncio del referendum fino al martedì successivo al voto dei greci, quando il rapporto era stato completamente redatto.

L’esito del referendum è uno choc completo per i membri della Commissione e i suoi funzionari, quando la dinamica degli eventi sembrava avere ormai superato il punto di non ritorno e l’addio della Grecia all’euro apparire scontato. Sembra a questo punto che i membri della governance europea non intravedessero alcuna alternativa per la Grecia se non la sua espulsione dall’eurozona, e durante una delle riunioni del gruppo di esperti un funzionario che ha preparato la stesura del rapporto, una sorta di “libro nero” della Grexit, come l’ha definito il quotidiano greco Kathimerini, avverte esplicitamente che “se il piano sarà realizzato, per le strade di Atene riecheggerà il rumore dei carri armati”. Un’ipotesi inquietante che riporta indietro il paese di quasi mezzo secolo, quando nel 1967 iniziò la stagione dei colonnelli, quella feroce dittatura di Papadopoulos che salì al potere grazie ad un golpe voluto dalla Cia, nel timore che la Grecia potesse slittare a est nelle braccia dell’Urss e del Patto di Varsavia.

E’ difficile comprendere le parole di quel funzionario se non si pone in essere un ragionamento di carattere geopolitico sulle implicazioni che una Grexit potrebbe comportare. Obama non voleva l’uscita della Grecia dall’euro per paura che la Grecia uscisse dalla Nato. Non avrebbe mai permesso di portare in dote a Putin un prezioso alleato, importante per la sua posizione strategica nell’Europa Orientale e che potenzialmente avrebbe tutti gli elementi per trascinare con sé gli altri paesi dell’Europa mediterranea.

La Germania d’altro canto voleva mostrare il suo volto imperiale e  ha scritto quel memorandum nella speranza che l’altra parte non accettasse un piano di austerity assurdo dal punto di vista macroeconomico e che, come ha riconosciuto lo stesso Fmi, renderà ancora più insostenibile il debito greco che supererà di questo passo il 200% sul Pil. Se si vuole difendere fino alla fine il principio della moneta unica, si deve sottostare alle regole della governance tedesca e questo messaggio adesso è arrivato prepotentemente a tutti i popoli europei dopo la gogna al quale è stata sottoposta la Grecia. L’Ue sapeva e sa che la Grecia non può restare dentro l’euro e una volta che ha assimilato questa risultanza inevitabile, ha preparato coerentemente un progetto per allontanare definitivamente la Grecia. Solo la resa incondizionata inaspettata di Tsipras ha fatto cambiare idea alle istituzioni europee. E il pericolo dei carri armati pare scongiurato…

Ma il futuro della penisola ellenica si prospetta sempre più fosco. Di fronte al fallimento di Syriza si apre la porta del malcontento e c’è un protagonista che fino ad ora è rimasto in silenzio dietro le quinte ad osservare lo svolgersi degli eventi: Alba Dorata si prepara al suo momento storico anche se nessuno sembra preoccuparsene troppo.

In collaborazione con Cesare Sacchetti

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