Un fondo destinato a emergenze come il terremoto in Nepal, l’epidemia di Ebola o le guerre in Siria e Ucraina. È da qui, oltre che dalla riallocazione di fondi regionali destinati a progetti in diverse aree della Grecia, che la Commissione Europea attingerà per far fronte all’emergenza umanitaria che potrebbe nascere da un’eventuale uscita di Atene dall’Eurozona. Soldi che, secondo il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, appoggiato dal presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, sarebbero “necessari” per sostenere il popolo greco. “Qualsiasi cosa succeda”, ha ribadito mercoledì il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, “c’è bisogno di assistenza umanitaria. Non dobbiamo voltare le spalle alla Grecia”.

A gestire l’intervento dovrebbe essere la Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione Europea (Echo), spiega Carlo Altomonte, professore di Politica economica europea dell’Università Bocconi. “Questa istituzione stende un bilancio annuale che rappresenta una voce all’interno di quello europeo. I fondi a disposizione si aggirano intorno ai 1.300 miliardi di euro, ma se si escludono i progetti già avviati per far fronte a emergenze umanitarie in seguito a catastrofi naturali, guerre o epidemie e le diverse aree interessate dallo stanziamento si può vedere che per la Grecia è disponibile un massimo di circa 100 milioni”.

Una cifra ben lontana dai due miliardi che, a marzo, lo stesso Juncker aveva detto di volere destinare alla crescita e alla “coesione sociale” nel Paese ellenico. “Una cifra del genere – spiega Altomonte – può essere raggiunta solo se ai fondi specifici per le emergenze umanitarie si aggiungono quelli già destinati alla Grecia per portare avanti progetti di carattere regionale. L’Unione Europea, infatti, ha previsto lo stanziamento di 15 miliardi, nel periodo che va dal 2014 al 2020, per la realizzazione di progetti locali: poco meno di due miliardi all’anno. Se questi fondi, difficilmente utilizzabili a causa della difficile situazione in cui versa il Paese, venissero reindirizzati in un progetto di intervento umanitario, ecco che la cifra di cui parla Juncker verrebbe raggiunta”.

Il caso greco, però, è un’anomalia. Non solo perché sarebbe la prima volta che gli aiuti umanitari europei vanno a un Paese membro, ma anche perché “non è vittima di una catastrofe naturale, di una guerra o di un’epidemia, bensì schiacciato da una forte crisi finanziaria”. Per questo è difficile fare previsioni riguardo ai criteri di stanziamento e di redistribuzione di eventuali fondi per l’emergenza umanitaria. “Fino a oggi – continua Altomonte – la redistribuzione prevedeva un 30% dei fondi da destinare alla fornitura di prodotti alimentari, un 19% agli alloggi, un 13% ai servizi sanitari e assistenza medica, un 13% per acqua e infrastrutture igienico-sanitarie, più altre voci. La singolarità del caso greco, però, rende difficile un calcolo di questo genere: la popolazione non ha bisogno di alloggi, di assistenza sanitaria, ma di beni materiali per la sopravvivenza”.

Nel caso in cui si dovesse decidere di mettere in campo fondi per gli aiuti umanitari, starà alla Commissione europea decidere quanti distribuirne e in che modo, tenendo conto dell’eccezionalità della situazione. “L’unica cosa che mi sembra sicura – conclude il professore – è che, nel caso in cui la Commissione opti per lo stanziamento, questo sarà affidato al governo greco e non gestito direttamente dalle istituzioni europee. Nonostante i contrasti tra Atene e Bruxelles, stiamo sempre parlando di un Paese civile e con un sistema redistributivo efficiente”.

Twitter: @GianniRosini

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