Il dramma italiano della mancata ripresa sta tutto nell’immagine dell’uomo solo al comando, tanto solo e distaccato da imboccare la strada sbagliata verso un traguardo sempre più lontano e improbabile.

Matteo Renzi è l’uomo al comando che tra annunci e misure miracolose ha fatto intendere agli italiani di essere in grado di portarli verso la terra promessa del risamento politico-economico, del rilancio e della ripresa.

Per raggiungere l’ambizioso obiettivo avrebbe dovuto, come promesso, tagliare sprechi, razionalizzare la spesa pubblica, immettere nel circuito economico risorse aggiuntive, riformare la politica per dare agli elettori possibilità di scelta dei propri rappresentanti, stabilità e il necessario snellimento nel processo legislativo al fine di rendere sempre più competitivo il sistema-Italia.

Per quel che riguarda quest’ultima parte del discorso stiamo vedendo come le cose si stiano impantanando. Sulla riforma elettorale e istituzionale il pasticcio combinato da Renzi con l’alleanza con Silvio Berlusconi e l’incapacità di tenere unito il suo stesso Partito democratico, sta  confermando ancora una volta come si stia praticamente parlando del nulla. Con riforme delle regole che per essere approvate dovrebbero prima di tutto essere condivise e che invece vedono partiti tra loro e correnti dei partiti stessi impegnati in una dissennata guerra all’ultima virgola.

Nel frattempo, quello che si doveva e poteva fare di veramente significativo per smuovere l’economia, recuperare risorse e fare pulizia, è rimasto per buona parte lettera morta.

Fare, ma che cosa? Lasciamo perdere i grandi discorsi e le grandi idee intorno al buon governo, alla riforma della grande finanza e alle altre ricette per ridare respiro ai mercati e ai consumatori che i più grandi pensatoi mondiali e istituti di ricerca continuano a sfornare a profusione. Stiamo a cose più terra terra e al governo in carica più vicine.

Prendiamo per buoni ad esempio i problemi che questa mattina mette in campo un uomo a Renzi molto legato, Luigi Zanda (nella foto in alto con il premier), nel motivare le ragioni per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta (un’altra!) sugli appalti pubblici.

Bene, il capogruppo democratico al Senato elenca alcune grandi questione che lo stesso  premier dovrebbe, o meglio avrebbe dovuto, prendere come punti cardine per un ottimo programma di governo.

Dice Zanda a proposito di risorse da recuperare: ci sono 60 miliardi l’anno di corruzione (stima Corte dei conti); almeno 120 miliardi di evasione fiscale e 200-250 miliardi di economia sommersa (il famoso nero) da portare alla luce.

Cose vecchie per la verità e già conosciute. Ebbene,  cosa ha fatto di veramente forte e innovativo il governo Renzi per portare a casa risultati significativi su questi tre fronti?

Risposta: niente, o quasi niente se si vuole essere generosi. Nel frattempo, come pochi altri uomini di governo nella storia repubblicana, sta stressando il Paese e la tenuta del suo sistema politico-istituzionale.

Dove questo possa portare con la crescente crisi di fiducia che investe i cittadini, difficile dirlo. Certamente porterà poco di buono.

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