Cuperlo al Tg 3 evoca la scissione senza nominarla. Dice che su un tema come la qualità della democrazia “non è in gioco il governo, ma il destino del Pd” e che non è in discussione “il rapporto tra maggioranza e minoranza, ma l’identità del Pd”. In altre epoche una minaccia del genere avrebbe mobilitato il partito e messo alle corde il segretario costringendolo a chiarire, sopire, rassicurare.

E invece Renzi non se ne cura, mentre il vicesegretario Guerini sbriga la pratica con la sufficienza del già visto e già sentito. Poi appare Debora Serracchiani che ha sempre il sorrisetto di chi prende in giro i poveri sinistrati. Stalin disprezzava come “gattini ciechi” i compagni che vagavano senza meta incapaci di comprendere la realtà. La sinistra Pd, nel suo deambulare tra protesta e disciplina, trasmette lo stesso senso di smarrimento.

Perché se Cuperlo minaccia di andarsene, Bersani non fa che ripetere “Questa è casa mia”, mentre Civati sforna battute salaci: “Per molti della minoranza dem la battaglia da combattere è sempre la prossima”. Ma se anche l’opposizione a Renzi decidesse la scissione, sarebbe per andare dove? Con Vendola e Tsipras? Oppure verso un nuovo partito? E nel caso, visto che i bersaniani sono per la fedeltà alla “ditta”, avremmo una scissione nella scissione? Questo Renzi lo sa talmente bene da non preoccuparsene più. E lo sa anche Cuperlo che infatti, tra allusioni e minacce, la parola proibita evita di pronunciarla.

‘Stoccata e Fuga’, il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2015

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