Agli occhi dello spettatore sconfortato balza subito il fatto evidente che Renzi vince in Italia e Raffaella Paita in Liguria. Vittorie di Pirro, almeno per la democrazia. Ma comunque vittorie, che innescano transumanze – silenziose o meno – in direzione dei trionfatori e dei loro carri, da parte di molte schiene di pancotto e determinazioni antagonistiche all’acqua di rose.

Successi che si spiegano in base a ragioni che nulla hanno a che fare con la politica: la tracotanza di puri spiriti animali mixati con overdosi di spregiudicatezza (messa all’opera nei Nazareni romani e di Albisola Superiore: apoteosi della collusività trasformata in trappoloni, non meno della raggiunta indifferenza per principi e distinzioni che impiccino la corsa al potere). Ma che dipendono anche dall’assenza di reali alternative che si contrappongano con un minimo di efficacia ai disegni di onnipotenza dei caterpillar arraffa-tutto. Magari prendendo riferimento dalle lezioni allo stato nascente, provenienti dai due lati del Mediterraneo; che evidenziano per contrasto quanto sia vecchio il nostro Paese, in cui quotidianamente – come diceva quel tale – “le mort saisit le vif”, le anime morte ghermiscono e prosciugano energie vitali.

Le vicende di Liguria sono un piccolo laboratorio di questa zombizzazione, che viene riproposta in grande su scala nazionale. L’immagine imbarazzante di come NON deve essere contrastata l’opera dei massacratori di democrazia presentata da riformismo. Dunque, a) l’occupazione della scena da parte di zavorre impresentabili, b) l’ansia di protagonismo di apprendisti stregoni, c) il dilettantismo di leader da assemblea di condominio, d) la masochistica ricerca dell’uomo del destino.

  1. Se è vero che buona metà del corpo elettorale rifiuta l’offerta politica accatastata sui banchi delle elezioni, questo vale soprattutto a sinistra. Ossia sigle e personaggi usurati da compromissioni palesi e inadeguatezze evidenti. Un dato che dovrebbe invitare al farsi da parte. Ed invece i “rieccoli”, dai governatori che se la ridono al telefono con i mazzieri della famiglia Riva ai rifondaroli catastrofici, sono sempre a mezzo, forti di residue reti relazionali che consentono loro di mettere insieme qualche firma per la presentazione delle liste e qualche striminzito pacchetto di voti per battere le nuove entrate. Proprio non basta il ricordo della lista Ingroia e dell’italica gestione di Tsypras alle europee!
  2. Nella confusione che regna nel fronte dell’altra-politica anti-Casta, si sono scatenati i semplificatori. Quelli che hanno la ricetta in tasca. Come se la soluzione del degrado etico e culturale – di un Paese che non ha ancora metabolizzato il crollo della Prima Repubblica dei concussi/corruttori e il ventennio della Seconda berlusconizzata – potesse ridursi a un abracadabra. Sono reduce da un dibattito con Paolo Becchi, secondo cui tutto si risolve uscendo dall’Euro, di questi tempi ho assistito dalle mie parti a mille profezie salvifiche durate lo spazio di un mattino, per non aver tratto ulteriore conferma che la politica “è un lento trapanare tavole dure” che impone un lungo lavoro di recupero di abilità e capacità ormai perdute;
  3. Dato che la natura aborre il vuoto, ecco che saltano fuori gli improvvisati. Tanto quelli che vorrebbero applicare ridicole metodologie manageriali (la comunicazione come surrogato del ragionamento) come i profeti di un democraticismo puerile (tipo i tavoli di base per far sgorgare una partecipazione sorgiva oppure la clikdemocracy in rete facilmente manipolabile dai gestori);
  4. Ennesima conferma dell’obsolescenza nazionale l’antico richiamo all’uomo forte. Anche a Genova. Si tratti di Sergio Cofferati (quello che ha scoperto solo dopo la trombatura che il Pd era un verminaio; prima, quando lo mandava a Strasburgo, profumava di buono) o dell’usato sicuro di un ex sindaco più che rispettabile, ma che certamente non può incarnare una nuova stagione in cui la democrazia viene rifondata dal basso. Del resto lui stesso ne era consapevole, nonostante la mossa maldestra di chi lo ha messo in pista senza interpellarlo.

Grazie a questa serie di cortocircuiti mentali si sono persi due concetti fondamentali: 1) che la politica è lavoro, non improvvisazione; 2) che in questi tempi di declino dei partiti di plastica e dello star-system si dovrebbe puntare sull’effetto sorpresa. Concetto impensabile per chi non ha capito la vicenda Podemos o – per restare in casa nostra – il successo imprevisto a Messina dell’outsider Renato Accoranti.

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