«Stiamo strisciando sul fondo, non raccontiamoci storielle». Ci voleva il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, col suo eloquio rozzo ma efficace, per ascoltare una delle poche dichiarazioni non ipocrite sul tema della disoccupazione giovanile. E d’altronde come altro si potevano commentare, se non così, gli ultimi dati Istat sulla disoccupazione giovanile che ci raccontano che al Sud il 60,9% dei giovani è disoccupato – anche se qui c’è perfetta parità di genere, maschi e femmine egualmente disperati – mentre al Nord è senza lavoro il 40,9% delle ragazze? E che continua inarrestabile il trend che ormai è sotto gli occhi di tutti dal 2008, e cioè non solo il fatto che in Italia lavorano sempre meno persone (22,6 milioni) ma soprattutto che la crisi è talmente grave che, oltre al calo dei contratti a tempo indeterminato (meno 255mila rispetto al 2013), scendono anche – ormai anche loro sempre più rari – persino i contratti a termine (-3,1) e i contratti di collaborazione (-5,5%)?

A fronte di tutto ciò, invece, ecco come risponde il ministro del Lavoro Giuliano Poletti in una intervista a Repubblica grottescamente intitolata “Basta con i vincoli Ue?“. “Credo che le misure che stiamo prendendo siano le misure urgenti che vanno prese”. E quali sarebbero queste misure? “Gli ottanta euro, l’apertura dei cantieri per le scuole, i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, il prossimo Sblocca Italia”. “Dunque nessuna misura urgente”, osserva giustamente il giornalista. “Più urgenti di così!”, risponde il ministro. Che poi più avanti spiega che “i dati Istat non hanno alcun collegamento con le cose che ha approvato questo governo”. Giusto, ma in un altro senso: perché davvero non si vede cosa c’entrino gli ottanta euro, destinati agli occupati stabilmente, con i disoccupati, oppure l’apertura dei cantieri per le scuole col fatto che per i giovani non c’è più lavoro, e soprattutto lavoro che dia reddito. 

Certo che crisi e disoccupazione non sono colpa di un governo che ha solo tre mesi. Eppure quello che stupisce, e un po’ agghiaccia, è la sistematica arte della negazione che ormai sembra essere il trend del momento: rimuovere il dramma, per raccontare non che tutto va bene, ma che presto tutto sarà risolto, che ci stiamo dando da fare – non vedete le maniche arrotolate? – per un futuro tutto rosa. Basta gufi e pessimisti, oggi è il tempo dell’ottimismo e della speranza.

Non sarebbe  invece molto più onesto prendere atto della tragedia che ormai si consuma sotto i nostri occhi, ammetterne la portata, dire che ci vorrebbe ben altro per risolvere una situazione strutturale di gravità inaudita, smettere di promettere che ci sarà un contratto unico a tutele crescenti con ammortizzatori davvero per tutti, che non vedremo mai? Ma se non ci sono neanche i soldi per estendere il buono Irpef alle famiglie monoreddito con tre figli, cioè una piccola minoranza in drammatica e assoluta emergenza all’interno di una maggioranza – le famiglie con figli – anch’essa in totale emergenza, ma di che stiamo parlando?

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