Sostegno economico e abitativo per madri e padri separati o divorziati e in difficoltà economiche. Ma solo per quelli che sono stati sposati, quindi non le coppie di fatto, e che risiedono in Lombardia da almeno cinque anni. La Commissione sanità e politiche sociali della Regione Lombardia ha approvato il 7 maggio, a maggioranza, un progetto di legge che ha fatto molto discutere in commissione, come dimostrano i moltissimi emendamenti presentati (ben 71) e che ha trovato la netta contrarietà delle minoranze, soprattutto del Partito democratico, della lista Ambrosoli e del Movimento cinque stelle.

A far discutere è stata, soprattutto, l’approvazione dell’emendamento proposto dall’assessore regionale alla Famiglia, Maria Cristina Cantù (Lega) e del relatore Antonio Saggese (Lista Maroni) che ha mutato il titolo della legge da “Norme a tutela dei genitori separati e/o divorziati e dei loro figli” a “Norme a tutela dei coniugi separati o divorziati, in condizione di disagio, in particolare con figli minori”.

Secondo l’avvocato Marco Carra, consigliere regionale del Pd, la legge così come uscita dalla Commissione presenta dubbi di illegittimità costituzionale: “La legge – spiega – non estendendo i benefici alle coppie di fatto discrimina tra figli legittimi (nati da genitori sposati, ndr) e figli naturali. Eppure nel dicembre del 2013 sono stati inseriti nel Codice civile articoli che disciplinano in uguale maniera i diritti di queste due categorie, garantendo identico trattamento per tutti i figli. Senza dimenticare che la legge, escludendo le coppie di fatto, non tiene conto della realtà: nel 2013 le convivenze hanno superato i matrimoni e il 40% dei minori lombardi è figlio di coppie di fatto”.

C’è poi un altro problema relativo alla legge. All’articolo 2 si legge che “i destinatari di tale legge sono “…cittadini italiani residenti in Lombardia da almeno cinque anni”. “Ci sono due sentenze della Corte costituzionale – aggiunge Carra – una del 2012 e una del 2013, molto chiare al riguardo. E queste sentenze dicono che il periodo di residenza è discriminante e in violazione dell’articolo 2 della Costituzione”.

Per quanto riguarda poi i sostegni effettivi ai coniugi separati o divorziati, questi sono di due tipi: economico e abitativo. Quest’ultimo è previsto dall’articolo 5 della legge e prevede che siano promossi “protocolli d’intesa con enti locali, pubblici e privati, per la concessione di alloggi a canone agevolato nelle vicinanze della casa dove abitano i figli o comunque nelle immediate vicinanze”. Sono previste, inoltre, forme di locazione agevolata temporanea per un periodo massimo di 3 anni e l’assegnazione di un alloggio popolare in via d’urgenza, in deroga alle graduatorie comunali. I coniugi separati senza dimora saranno equiparati ai nuclei con sfratto esecutivo.

Per quanto riguarda il sostegno economico “puro” (articolo 6), la legge prevede un aiuto attraverso la concessione temporanea di contributi e di misure di credito agevolato “finalizzati al recupero e alla conservazione dell’autonomia e di un’esistenza dignitosa”. “Ma l’articolo – sostiene il consigliere del Pd – dà ampia discrezionalità alla giunta lasciandole la libertà di decidere quali siano queste situazioni di disagio, non prevedendo indicatori – come Isee, disoccupazione di lungo corso, cassa integrazione – che certifichino una reale necessità”. La copertura finanziaria della legge è di quattro milioni di euro all’anno, dopo l’accoglimento di un emendamento delle minoranze. Inizialmente la copertura prevista era di un milione di euro. Il testo di legge sarà discusso in Aula il 17 giugno per l’approvazione definitiva.

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