Vi ricordate il caso Mastrapasqua, il presidente Inps che ha destato scandalo per i suoi 25 incarichi? È solo un povero dilettante in confronto a Giovanni Puglisi, che vanta attualmente ben 40 incarichi malcontati tra presidenze, vicepresidenze, consigli di amministrazione e direzioni di riviste e collane. A differenza di Mastrapasqua, Puglisi è ben saldo sulle sue quaranta selle; gravita soprattutto sul mondo universitario, dove tra l’altro è vicepresidente della Crui, la Conferenza dei Rettori che ultimamente sforna ministri Miur come noccioline. A volte, elargisce magnanime perle di saggezza ai poveri testoni che si ostinano a percepire un solo stipendio, se va bene.

Dalla sua ultima intervista sull’università si direbbe però che dall’alto del suo cumulo di cariche il pianeta Terra sia troppo lontano. Dopo aver esordito con un peana per Renzi e la nuova inquilina del Miur nonché sua ex- collega Crui (“un’eccellente soluzione”) prepara il terreno con un classico: l’università è “un parcheggio in attesa del lavoro”. Chissà che ne pensano i due atenei (entrambi privati) di cui è Rettore. Non manca di regalare anche gustosi nonsense, come quando afferma che la laurea magistrale è riservata a chi sceglie di farla all’estero.

Se i problemi non sono chiari, in compenso la soluzione è “unica e impopolare“: “vanno tolte di mezzo tante Università nate negli ultimi 30 anni”. Il motivo è originale: ci sono “Atenei in centri che non hanno una biblioteca, un museo o un teatro” e quindi (per par condicio?) non hanno il diritto di “sbandierare” un’università. Quali siano questi atenei, Puglisi non lo dice: il caso che addita al pubblico ludibrio è Narni, che in verità non è un Ateneo ma ha la colpa di ospitare dei corsi dell’Università di Perugia (proprio una di quelle che Puglisi salverebbe!). Peraltro, googlando si scopre che a Narni sono attive tre biblioteche, un teatro e tre musei.

In questo défilé non può mancare la motivazione economica: tagliare Atenei sarebbe “l’unico sistema per ridurre la spesa ed aumentare gli investimenti”… ossimoro, nun te temo! Poi diventa darwiniano: le università, grazie al taglio, “si selezionerebbero da sole” dando “spazio al merito”. Eppure, presi per buoni gli assunti neoliberisti, il consumatore in realtà ha tutto l’interesse a scegliere tra più fornitori in concorrenza tra loro: lo “sfoltimento” al contrario riduce il numero dei concorrenti, garantendo l’oligopolio ai pezzi grossi a svantaggio degli utenti.

Il nostro chiude l’intervista rapito da una visione paradisiaca dell’Università neoliberale, ma trascura un piccolo dettaglio: che fine faranno gli studenti, i docenti e tutto il personale delle sedi “tolte di mezzo”? Se venissero trasferiti negli atenei superstiti non solo non si realizzerebbe alcun risparmio, ma ci sarebbero anzi costi aggiuntivi sul diritto allo studio per consentire agli studenti di spostarsi; per accogliere gli sfollati si dovrebbero ampliare uffici, studi, aule e laboratori delle sedi rimaste aperte, mentre gli edifici delle sedi abbandonate (alcuni molto recenti) verrebbero economicamente lasciati marcire. Ma allora il vicepresidente Crui come pensa di risparmiare? Abbandonando gli studenti e rottamando docenti, ricercatori, tecnici e amministrativi “periferici” in qualche discarica?

Questa in fondo è solo l’ennesima conferma: la Crui sta guidando la nave dell’Università pubblica sugli scogli, in sintonia con i fautori dell’ignoranza diffusa e con i predoni del privato che aspettano a riva per saccheggiarne il relitto. Ormai quasi tutti gli universitari mentalmente sani lo stanno capendo: ne trarranno le dovute conseguenze? Ad esempio chiedendo pubblicamente di smettere di versare la quota annuale che la Crui intasca lieta proprio grazie agli Atenei?

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