Si era detto: almeno Salva Lega e quote rosa sono due ostacoli rimossi dal percorso della riforma elettorale in Parlamento. Macché: Denis Verdini ha parlato a lungo oggi a Montecitorio con Umberto Bossi. E le donne di Pd, Forza Italia e Nuovo Centrodestra scrivono una nota conginuta che il testo base dell’Italicum “è del tutto deludente per quel che riguarda la rappresentanza di genere”. Nel frattempo la partenza dell’iter della legge slitta di un altro giorno. Questa volta dipende dal voto di fiducia sul decreto Imu-Bankitalia impone la sospensione dei lavori di tutte le commissioni, compresa la Affari costituzionali che si sta occupando di lavorare alla bozza partita dall’intesa Renzi-Berlusconi. La commissione verrà probabilmente convocata dopo quel voto e in quella sede verrà fissato il termine per gli emendamenti, che sarà nel fine settimana. Le proposte di modifica saranno poi votati entro martedì. In Aula, come deciso dalla conferenza dei capigruppo, l’Italicum arriverà non prima del 29 gennaio. Le votazioni sul testo avranno inizio il 30 gennaio. 

Il testo base depositato dal relatore e presidente della commissione Affari Costituzionali di Montecitorio Francesco Paolo Sisto non prevedeva, dunque, una norma “Salva Lega”. Il Carroccio, cioè, se si coalizzasse con Forza Italia dovrebbe superare la soglia del 5% a livello nazionale e se invece corresse da sola addirittura l’8. Una missione impossibile. A battersi in commissione contro una tale clausola di garanzia per i leghisti erano stati in particolare il Pd e il Nuovo Centrodestra, i deputati del quale avevano subordinato la propria firma all’eliminazione della norma. Tutto risolto? Denis Verdini, l’uomo macchina del Cavaliere che ha trattato alla pari con Roberto D’Alimonte (luogotenente “tecnico” di Matteo Renzi), ha incontrato a Montecitorio Umberto Bossi con il quale ha intrattenuto un lungo colloquio. Il segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini, per inciso, aveva assicurato che il suo partito “non ha bisogno di aiutini”. 

Poi la questione della rappresentanza di genere. All’uscita del testo base era passato il messaggio: metà delle liste dovranno essere occupate da nomi di candidate donne. Le senatrici Valeria Fedeli (Pd), Alessandra Mussolini (Forza Italia) e Laura Bianconi (Nuovo Centrodestra) scrivono: “Per rendere realmente efficace il principio di pari opportunità nella rappresentanza politica è necessario introdurre un vincolo all’alternanza di genere uno a uno nelle liste e la medesima alternanza nei capilista. Immaginiamo, infatti, che andando a votare con questa legge risulteranno eletti soltanto i primi due nomi in lista, se non addirittura solo il primo. Insomma, quella presentata ieri è una formula del tutto inadatta con la quale rischiamo di perdere l’occasione di un cambiamento profondo: una democrazia realmente paritaria attraverso una legge elettorale che garantisca l’equità di genere”. E alle senatrici si aggiungono le deputate: “Enunciare il principio è condizione necessaria ma non sufficiente se vogliamo compiere un salto di qualità nelle regole per applicare davvero l’articolo 51 della nostra Costituzione” scrivono, tutte insieme, Roberta Agostini (Pd), Dorina Bianchi (Ncd), Elena Centemero (Fi), Titti Di Salvo (Sel), Pia Locateli (Psi), Gea Schirò (Popolari per l’Italia) e Irene Tinagli (Sc).

Poi restano ancora tutti interi gli altri problemi. Scelta Civica per esempio non ha firmato il testo perché vuole una soglia per il premio di maggioranza più alta del 35% previsto: “Vogliamo garanzia di governabilità e di democrazia” spiega il segretario politico Stefania Giannini. Nuovo Centrodestra sostiene il testo ma continua a sostenere l’introduzione delle preferenze: “Parlo con tristezza ma con chiarezza: è un errore Ncd aver firmato legge elettorale senza preferenze. Se non ci sono preferenze non c’è nessun voto” scrive su twitter il senatore Roberto Formigoni. Infine il Pd: la sinistra del partito ha preparato un “menù” da presentare al resto del gruppo parlamentare di Montecitorio e far diventare un emendamento comune, anche nell’intendimento dell’ex presidente Gianni Cuperlo.

Intanto si riaffacciano i problemi tecnici. Il nodo della definizione dei collegi della riforma elettorale è stato al centro della riunione tra il ministro per i rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, e il gruppo del Pd. Non è stato trovato ancora una mediazione sulla querelle su chi (tra Viminale e Parlamento) disegnerà i confini dei collegi, dopo che dal testo depositato in commissione sono “saltate” le tabelle con circoscrizioni e collegi.

Il Movimento Cinque Stelle oggi parla con Beppe Grillo che denuncia che la riforma serve a fermare i grillini. Intanto Sel rileva “una serie ingiustificata di forzature – dice il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore – Abbiamo chiesto per primi di avviare la discussione e abbiamo atteso per mesi. Oggi c’è un accordo esclusivo tra Pd e Fi, senza una reale volontà di confrontarsi in Parlamento”. “Per noi è fondamentale introdurre il conflitto di interessi, un limite sulle spese elettorali, impedire che si strangoli la democrazia con soglie antidemocratiche e consentire agli elettori di scegliere i propri rappresentanti. Anche il M5S batta un colpo – conclude Migliore – e difenda la democrazia e non i propri interessi elettoralistici”.

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