Dopo la richiesta di aiuto di Daniela Cestelli il fattoquotidiano.it ha raccolto alcune storie di impresa, precariato e lavoro. C’è chi, solo grazie all’aiuto e alle garanzie dei genitori, è riuscito ad aprire un negozio fare affari senza ricevere fiducia dalle banche. C’è chi ha sviluppato un brevetto, ma non riesce ad aver credito. E c’è chi ha trovato un contratto a termine dopo aver dovuto chiudere la sua impresa.

Ho 38 anni, tre negozi, cinque dipendenti, ma per le banche non valgo nulla.

Ho 38 anni, quando ho avviato la mia attività ne avevo 27. Era il 2003. Apro il mio negozio di animali a Cusano Milanino (Milano) con il contributo dei miei genitori. Gli affari vanno bene e nel 2005 lascio i 30 metri quadrati del primo negozio, in affitto, per un locale da 80 metri quadrati, comprato con un anticipo e 20 anni di rate, con la garanzia dei miei genitori. Le banche non mi danno fiducia. Il lavoro continua discretamente. Ma anche per comprarmi la prima macchina devo fornire la garanzia di mio padre e mia madre. Nel 2008 mi espando e apro una filiale poco distante dalla prima, sempre a Cusano Milanino. Comincio ad assumere personale. Nel 2011 mi si profila l’occasione di rilevare ad un prezzo interessante un negozio in un comune limitrofo. La banca mi sostiene con un mutuo, ma sempre con la firma dei miei genitori, nonostante due negozi il sottoscritto non vale abbastanza da solo. Apro il terzo punto vendita e assumo altri dipendenti. Nel frattempo, a causa di una mancanza di fondi, un assegno da 800 euro non può essere addebitato sul mio conto. La banca, invece di chiamarmi, manda in protesto l’assegno. Pago subito in contanti. Ma questo è solo l’inizio del calvario: mi vengono revocati fidi per 25 mila euro con richiesta di rientro immediato, mi vengono bloccate sei carte di credito (in due casi mi chiedono il rimborso totale) e mi chiudono il conto. Intervengono in parte i miei genitori, con il pignoramento del quinto della loro pensione, per il resto cerco io di racimolare soldi dove e come posso. Prima vendo la mia collezione di monete, poi non pago l’Iva e le tasse. La banca mi dà tregua ma mi pone delle scadenze. A fine 2012 sono costretto a diminuire il numero dei dipendenti, da nove a cinque. Ci sono quattro liquidazioni da pagare. Nel 2013 arriva la cartella di Equitalia. Tra Iva e tasse, non ho pagato circa 9 mila euro, ma ora mi chiedono di restituirne quasi 20 mila. Faccio tagli, riassesto l’azienda e pare che le cose possano andare. Sono sommerso di rate, debiti, tasse, che non sempre riesco a pagare. Avrei bisogno di personale, ma non posso assumerlo, i costi sono troppo alti e il “nero” non voglio considerarlo. A due anni dall’apertura del terzo punto vendita porto in banca i corrispettivi. Il negozio (rilevato) in due anni di crisi è cresciuto del 246 per cento. Chiedo alla banca un po’ di fiducia e mi dicono “no”. Serve sempre la firma dei genitori. Ho 38 anni, tre negozi, cinque dipendenti, ma per le banche non valgo nulla.

Davide D’Adda

Ho brevettato la mia invenzione, ma qui nessuno mi dà credito

Sono titolare di un brevetto – prima francese, nel 2006, dal 2013 è europeo – nel campo dell’arredo urbano. Ho ideato una sedia che diventa chaise-longue (una poltrona allungata) per proteggere i bagagli di un passeggero, che quindi può appisolarsi senza temere furti. È l’ideale per le attese lunghe in aeroporto o per le tratte marittime notturne (ferry-boat), ma funziona anche in caso di attese brevi in stazioni ferroviarie, metropolitane, stabilimenti balneari. Credo che sia un brevetto che potrebbe fruttare molto. E nel mondo non ha concorrenti sul mercato. Dal 2006 a oggi ho speso di tasca mia più di 20 mila euro. Non ho ricevuto alcun finanziamento da istituzioni italiane. Ho invece ricevuto 5 mila euro dalla Francia, nel 2006, per realizzare il prototipo su scala reale. Da diversi anni partecipo a tutti i concorsi di idee, finanziamenti europei, quelli della regione Lombardia, del Trentino, anche a quello patrocinato dalla Presidenza della Repubblica. Fino a oggi il brevetto è passato inosservato. Le sue diverse applicazioni, a pagamento e non, sono intuibili. Sto cercando connessioni e contatti all’estero, anche fuori dall’Europa, ma ora le risorse economiche scarseggiano. La mia idea ha trovato spazio su numerose riviste della stampa generalista, su riviste internazionali, ha riscosso l’interesse di vari aeroporti, pronti addirittura ad un progetto pilota. Dopo il salone del mobile 2006 ha ricevuto persino degli ordini di acquisto. Penso che sia incredibile che un tale brevetto possa essere abbandonato nella più totale indifferenza. I brevetti italiani, nell’indifferenza, sono destinati a fuggire all’estero, facendo arricchire gli imprenditori stranieri e non gli inventori, a cui rimangono solo i debiti.

Stefano Cassetti

La mia sartoria è morta per colpa dei lavori stradali

Nell’ottobre del 2006 ho affittato un locale e ho avviato la mia sartoria. Confezionavo abiti su misura, sarebbe stato ingenuo tentare di fare concorrenza alle sartorie cinesi a buon mercato. Ho problemi fisici, ma con un lavoro indipendente riesco a gestirli. Nel febbraio 2007 partirono i lavori di rifacimento della strada dove aveva sede la mia sartoria. Si prolungarono per ben 14 mesi. E i miei clienti incontravano difficoltà a raggiungere la mia attività. Ho dovuto anche pagare al Comune 67 euro. Lavoravo giorno e notte a prezzi stracciati pur di mantenere aperta l’attività. Ho chiesto un prestito di 5 mila euro all’Associazione artigiani. La banca Ubi ha trattenuto la somma per due mesi prima di rendermela fruibile. Ma, con l’inganno, in mezzo a mille documenti da firmare, c’era un investimento di 1.500 euro su azioni Pra America. Ho chiesto conto e mi è stato risposto che era a garanzia. Garanzia? Era l’associazione artigiani che faceva da garante. Dopo due anni sono tornata in possesso dei 1.500 euro, con “ben” 6 euro circa di guadagno. Nel frattempo avevo ripagato tutto il prestito. Nel maggio del 2011 ho dovuto chiudere. L’incasso non copriva nemmeno il costo dell’affitto, la clientela per più di un anno non è riuscita a raggiungere la sartoria, a causa dei lavori stradali. Ho contato otto negozi, in una via lunga 120 metri, che hanno dovuto chiudere. Ora lavoro come dipendente con contratto a termine a gennaio, in un’impresa che si occupa d’alta moda (capacità, tecnica ed esperienza sono dalla mia parte). Nel frattempo mi è stata riconosciuta l’invalidità al 50 per cento. A 58 anni e senza nessun altro sostegno devo lavorare per non gravare sulla mia unica figlia, che ha 19 anni ed frequenta l’ultimo anno di scuola.

creattiva55@gmail.com

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