In questi tempi di forconi il Miur si trova a suo agio: in fondo la sua missione primaria è mandare a casa l’università pubblica, anche se preferisce usare la più nobile arma del merito. Ad esempio, ora è in arrivo un nuovo sistema semplificato per diventare professori universitari: talmente semplice che non prevede neanche il concorso! Chi riuscirà a vincere un bando “eccellente” per progetti di ricerca potrà essere chiamato per via direttissima a professore, libero dai lacci e lacciuoli che opprimono i comuni aspiranti.

Ad una lettura superficiale sembrerebbe un’idea per snellire le procedure, addirittura utile a stroncare le combine nei concorsi: ma appena si esce dai dettagli minuti e si pensa alle conseguenze sul sistema ecco che spunta l’ennesimo bidone.

Già adesso i ricercatori, costretti a cercarsi da soli i fondi per lavorare, sprecano molto tempo a scrivere progetti di ricerca che non verranno mai finanziati. Anche negli eccellentissimi ERC grants europei, che hanno da poco distribuito ben 660 milioni di euro, i vincitori sono stati meno del 12% delle domande. Se ora alla posta in palio si aggiunge anche la speranza di un posto da professore è facile immaginare un assalto alle domande da far impallidire la corsa all’oro del Klondike: i ricercatori saranno sempre più redattori di progetti, con buona pace della ricerca vera.

L’idea incide anche sull’armonia delle collaborazioni scientifiche: solo il coordinatore può avere il privilegio della “chiamata”, gli altri faranno i portatori d’acqua. Il ruolo di capo progetto diverrà estremamente ambito, con tutte le conseguenze darwiniane del caso. Inoltre molti, invece di partecipare a bandi per la gloria altrui, potrebbero pensare a comprare il loro personale biglietto della lotteria, il che causerebbe una frammentazione dei gruppi di ricerca, con ulteriore effetto moltiplicativo delle domande e del tempo sottratto al lavoro.

Un altro baco evidente è che le commissioni che selezionano progetti valutano appunto progetti, non persone. Il curriculum del capocordata è solo uno (e neanche il più importante) dei molti criteri che si usano per valutare un progetto. Inoltre, dato che un progetto deve essere attinente a specifici bandi, si troveranno avvantaggiati i ricercatori delle aree in cui i bandi fioccano. Di questi tempi, questo significa dare l’ennesimo vantaggio a tutte le ricerche di interesse immediato per il “mercato”: come sempre si innaffia il bagnato, mentre la ricerca di base e di interesse sociale muore di sete.

Infine, cenerentola delle cenerentole, alla didattica neanche un accenno. Non stiamo parlando di posti negli enti di ricerca: i chiamati saranno professori e dovranno fare almeno 120 ore di didattica frontale, ma nessuno pare preoccuparsi di verificare che siano capaci e motivati ad insegnare. In realtà agli studenti non pensa mai nessuno, a conferma del fatto che la “qualità” non è un obiettivo reale, ma un pretesto per disfare.

E va bene, direte voi.. ma almeno serve a stroncare il malcostume nei concorsi? Purtroppo neanche quello, per un motivo semplice: se andate a vedere, le persone che che valutano progetti e sono nelle commissioni di concorso sono più o meno sempre degli stessi giri. Non solo: le università faranno da filtro, decidendo chi tra gli aventi diritto potrà avere il premio; e se i criteri saranno quelli usati in molti atenei con le chiamate dirette dei professori all’estero, a decidere saranno rettori e prorettori, tramite le dinamiche più collaudate. Alla fine, essere amici delle persone giuste sarà sempre più importante.

Per affrontare sul serio il problema dei concorsi basterebbe partire da una constatazione banale: la questione non è nei meccanismi, ma nei decisori. Fino a quando le scelte saranno appannaggio esclusivo della cerchia di ordinari si potrà cambiare qualsiasi regola, ma i risultati saranno gli stessi. Ci vogliono quindi procedure trasparenti e partecipate: i profili dei candidati dovrebbero essere discussi in dibattiti aperti, allargando la decisione finale anche a professori associati, ricercatori strutturati, precari, dottorandi e studenti. Le peggiori manovre si fanno sempre al buio o al chiuso: solo se apriamo le finestre e facciamo entrare luce ed aria fresca potremo costruire un’università più sana.

ps: qui sotto un video del Coordinamento UniTo, dove altre tre amene idee demolitrici sono spiegate direttamente… dal signor Miur!

Articolo Precedente

Gli studenti lombardi contro il Pirellone: “Troppi tagli nel pubblico”

next
Articolo Successivo

L’università (vista da dentro)

next