Non è successo niente. Nonostante 40 roghi di probabile origine dolosa, inchieste di diverse direzioni distrettuali antimafia, divieti di porto d’armi e nomi di cosche della ‘ndrangheta che ritornano, non è comunque successo niente a Reggio Emilia. La frase, che dà il titolo al documentario girato dal giornale studentesco Cortocircuito, è la stessa usata per minacciare i ragazzi proprio mentre alla loro inchiesta video lavoravano. “Non dovete fare nessuna foto, non è successo niente”, si sono sentiti dire quando il 30 luglio scorso sono andati a riprendere un cantiere incendiato. “Se vedo qualcosa sul giornale”, aveva aggiunto il proprietario del cantiere, “vi vengo a prendere fino a casa”.

Video di Cortocircuito

La vicenda già aveva fatto parlare di sé quando era avvenuta ed era diventata oggetto di un intervento in parlamento della senatrice Maria Mussini (Movimento 5 Stelle) che, a fronte delle intimidazioni subite dagli studenti-giornalisti emiliani, aveva parlato di “ennesimo esempio di fenomeni in odor di mafia”. E ora torna di nuovo perché quelle riprese, in cui si vedono le manate alla telecamera e si sentono le minacce ai ragazzi, è entrata a far parte di un lavoro più ampio della durata complessiva di 20 minuti, presentato nei giorni scorsi nella Sala del Tricolore di Reggio Emilia nel corso di una serata a cui hanno partecipato, oltre alle autorità cittadine, il magistrato e blogger de ilfattoquotidiano.it Marco Imperato, il coordinatore nazionale di Avviso Pubblico Pierpaolo Romani e il sindaco di Rosarno (Reggio Calabria) Elisabetta Tripodi, a propria volta oggetto di intimidazioni mafiose.

La video-inchiesta, girata da Elia Minari con le riprese di Federico Marcenaro e Riccardo Pelli, parte proprio dai lì, dai fatti del 30 luglio, quando la troupe di Cortocircuito si sta muovendo per andare a fare alcune riprese. Ma, senza che la tappa fosse programmata prima, decide di fermarsi in via Bazzani, zona a sud est della città emiliana, dove si palesa un uomo che inveisce contro i ragazzi e ne malmena l’attrezzatura. Perché fermarsi qui? La notte precedente si è propagato l’ennesimo incendio proprio laddove si stanno costruendo 4 villette a schiera. Il cantiere da cui esce lo sconosciuto appartiene alla Costruzioni Gb del cutrese Gaetano Blasco, già indagato e poi prosciolto in un’inchiesta antimafia. L’episodio è il quarto del genere che dall’inizio 2013 riguarda lo stesso obiettivo, dato che in precedenza erano andate a fuoco altre aziende e le vetture dell’imprenditore edile calabrese trapiantato a Reggio, del figlio Antonio e di una dipendente.

Nel documentario degli studenti-reporter si rileva poi che uno di questi roghi avviene vicino a un ristorante nella frazione Villa Gaeda, Antichi Sapori, “dove il 21 maggio 2012, secondo la prefettura, si era tenuta una cena a cui avrebbero partecipato persone con precedenti di polizia per associazione a delinquere di stampo mafioso”. Un summit a cui avrebbero partecipato imprenditori nei settori degli autotrasporti e dell’edilizia, avvocati e commercialisti, alcuni dei quali sono stati raggiunti, insieme al titolare del locale pubblico, dal divieto di detenere armi da fuoco, nonostante la loro difesa abbia parlato di possesso di armi usate solo per andare a caccia. 

Già da qui si delinea il quadro che Cortocircuito, dal 2009, anno della sua nascita, va tracciando con il suo lavoro. È un quadro composto da nomi di famiglie ‘ndranghetiste, come quella dei Blasco e Grande Aracri, da condanne inflitte in diversi grado di giudizio per vari reati (estorsioni, incendi dolosi e associazione mafiosa) e da omicidi consumatisi all’interno di una guerra contro un altro clan, quello dei Dragone. “Una guerra che nella nordica città di Reggio Emilia sembra esplosa in modo evidente alla luce del sole o, meglio, della notte”, viene detto ancora nel documentario. “Una guerra che si manifesta in decine e decine di roghi a danno di cantieri edili, automobili, camion, aziende, locali notturni e abitazioni”. E il racconto fatto attraverso le immagini viene confermato dal procuratore capo di Reggio Emilia, Giorgio Grandinetti, e dal capo della squadra mobile, Domenico De Iesu.

In totale appunto quaranta, nel giro di un anno solare (dal settembre 2012), gli incendi. “Vogliamo però fare una precisazione importante”, dice Elia Minari, “la presenza delle mafie a Reggio Emilia non è rappresentata solo dai roghi dolosi. Le mafie nel nord Italia operano per lo più nel silenzio, agendo sotto traccia, infiltrandosi nell’economia. Spesso il rogo è l’ultima spiaggia, utilizzato solo quando non si riesce a ottenere qualcosa con un altro metodo”. Ciò che invece è meno evidente è diventato oggetto di altre inchieste di Cortocircuito. Inchieste che hanno riguardato per esempio gli incarichi per lo smaltimento dei rifiuti o la filiera delle società che hanno partecipato alla costruzione della Stazione Mediopadana di Reggio, quella dedicata all’alta velocità. Una stazione costata 79 milioni di euro dentro cui, all’inaugurazione, era piovuto e che appena pochi giorni prima – siamo all’inizio di giugno 2013 – era diventata oggetto di due indagini della procura locale con quattro indagati (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/03/stazione-tav-mediopadana-quattro-indagati-per-subappalti/614480/). Focus della magistratura: proprio l’aggiudicazione dei subappalti.

Infine, a fronte di parole pesanti come quelle del presidente della camera di commercio Enrico Bini che ha parlato di “guerra di mafia”, sembra rimanere ancora estesa tuttavia la convinzione che la ‘ndrangheta non esiste a Reggio Emilia. Ne sono convinti cittadini intervistati dai videogiornalisti di Cortocircuito, ma anche Antonio Rizzo, ex presidente dell’associazione degli imprenditori edili. “Io penso che la maggior parte”, dichiara davanti alle telecamere, “è gente onesta. Se uno vuol fare lo ‘ndranghetista non viene qua, sta nel sud. Se esistono, esistono delle cose lievi”.

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