Informazioni ai naviganti: il viaggio sulle rotte del cambiamento sta per essere investito da monsoni terribili che determineranno gravi rischi di naufragio. In altre parole lo spirito del tempo di ieri sta rapidamente mutando nel suo esatto contrario odierno.

E vede il ritorno all’attacco della corporazione trasversale del potere – volgarmente detta “casta” – che si muove su due piani: la stipula del Compromesso (ben poco) Storico tra Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi, che produce un governo aggrappato all’istinto di sopravvivenza del ceto politico bipartisan; l’imposizione di linguaggi e modelli di rappresentazione che beatificano le pratiche collusive come esempi di responsabilità e saggezza. Che difatti Enrico Letta chiama “realtà”; la sua realtà, di chierico democristiano che “non ha imparato nulla, non ha dimenticato nulla” dell’Antico Regime che vide muovere i suoi primi passi di leaderino in erba.

L’apoteosi del compromesso come supremo compimento della politica, anche quando – come nel caso attuale – è soltanto un inconfessabile accordo sottobanco di potere.

Nei corsi e ricorsi delle coazioni a ripetere che caratterizzano una politica consacrata al presidio dei privilegi partitocratrici – quale quella italiana – sembrerebbe di essere tornati agli anni Ottanta; quando, fallito il Compromesso Storico (quello vero) dopo il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, la restaurazione prese il nome di Caf dall’accordo occulto (o meglio, in un camper) dei partitocrati di allora: Bettino Craxi, Giulio Andreotti e Aldo Forlani. Assetto spartitorio che durò un decennio, fino alla crisi di Mani Pulite. E anche la nuova spartizione, che garantisce la perpetuazione del ceto politico asserragliato nel Palazzo, è destinata a durare molto più a lungo di quanto non si pensi.

Ma c’è un’altra analogia con il passato che salta agli occhi: il percepibile e rapido scivolare dell’indignazione in fatalismo. Infatti, se nelle ultime tornate avevamo assistito al disgelo di quella forma di abulia politicamente sterile rappresentata dal non-voto – soprattutto per merito del M5s – ora segnali consistenti lasciano intendere come i tempi predispongano l’inversione di tendenza: dalla protesta alla resa. Se questa è la tendenza, viene smentita la teoria per cui spingere il Pd tra le braccia del Pdl (portando alla luce del sole i traffici sottobanco intercorsi lungo l’intera Seconda Repubblica) avrebbe coinciso con il momento terminale del regime.

Al contrario, il serrare le fila lo rafforza. O meglio, favorisce la rinascita di Berlusconi a scapito di un Pd abbandonato da elettori delusi dall’ennesimo voltafaccia e dalla doppiezza del gruppo dirigente al completo. Ma non sembra proprio che il rimescolamento di carte vada a vantaggio del Grillismo. Prevale la stanchezza di tanta gente alla canna del gas, che ha perso perfino le energie per pensare di opporsi.

Se così stanno le cose si impone un profondo cambio di strategia, accantonando i messianesimi faciloni, prima che qualche scheggia impazzita, mimetizzata in un mare di torpore, scarichi nella violenza armata – ancora una volta, come negli anni Settanta – il proprio furore disperato; ripetendo in maniera organizzata il gesto isolato di Luigi Preiti (il disoccupato calabrese che domenica ha esploso alcuni colpi di pistola contro il Parlamento, centrando incolpevoli carabinieri impegnati nel loro meritorio servizio). Insomma, niente è facile e non è certo più tempo di scherzare. Per questo si dovrebbe guardare con interesse la riunione organizzata da Fiom a Bologna, che vedrà Maurizio Landini dialogare – tra l’altro – con Stefano Rodotà e Fabrizio Barca.

A questo punto, se vuole continuare ad essere la testa d’ariete o il piede di porco per aprire un Palazzo che si blinda, il M5s deve alzare il proprio tasso di politicità; imparando che l’essenza della politica non è il compromesso (più o meno “coperto”), come vorrebbe una scuola di pensiero che da Giorgio Napolitano arriva sino a Letta jr. La sua essenza è rappresentata dalle categorie di “amico/nemico”, con la diretta conseguenza che la condizione di successo in politica è praticare l’arte delle alleanze. Alla faccia delle purezze insulari, sostanzialmente masturbatorie.

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