Chissà cosa avrebbe detto Italo Falcomatà all’indomani dello scioglimento del Comune di Reggio Calabria? Lui che, da sindaco, quella città l’aveva risanata con grande abilità. Lui, che con la ‘ndrangheta non ebbe mai a che fare e che da quell’associazione criminale, la più potente del mondo, ricevette solo minacce. Probabilmente, di fronte alle “contiguità” citate ieri sera dal Ministro Cancellieri, avrebbe provato semplicemente disgusto. Che amarezza. Le polemiche di alcuni esponenti del PdL su questa decisione del Consiglio dei Ministri riportano alla mente i mancati scioglimenti del Comune di Fondi (Latina) e di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), in cui le infiltrazioni mafiose erano evidentissime oltre che gravissime.
Ad ogni modo “Il modello Reggio”, di cui tanto si era vantato Giuseppe Scopelliti, oggi Presidente della Regione Calabria invischiato in diverse inchieste giudiziarie e la cui giunta è indagata per intero per abuso d’ufficio (per la nomina di Alessandra Sarlo, moglie del giudice Giglio, a dirigente regionale del dipartimento Controlli), è stato un clamoroso fallimento. Per la prima volta nella storia un capoluogo di provincia “subisce” l’onta dello scioglimento. Un primato, per Reggio Calabria. Non l’unico, dato che già nel 1869 il Re ne decretò lo scioglimento: fu il primo comune in assoluto ad essere sciolto, addirittura, per camorra.
Il ministro Cancellieri ha precisato che lo scioglimento non riguarda la passata amministrazione (quella, appunto, guidata da Scopelliti), bensì quella attuale. Come se l’attuale sindaco, Arena, non fosse un uomo di Scopelliti. La verità è che il sistema di potere di Scopelliti sta franando sotto i colpi della magistratura: finalmente si colpisce la zona grigia, la borghesia mafiosa, i cosiddetti “colletti bianchi”. E però meglio non incolpare il Presidente di quanto sta accadendo, altrimenti per il PdL sarebbe il colpo di grazia. Quindi, facciamo pagare il conto soltanto a Demetrio Arena, che di voti non ne porta poi tanti. Non quanti ne porta Scopelliti, almeno.
Decine di inchieste e centinaia di pagine di relazioni prefettizie, che raccontano come un’intera amministrazione sia stata consegnata nelle mani dei boss, hanno portato allo scioglimento: parentele, assunzioni, favori, appalti. Diverse tappe hanno segnato i lavori che hanno condotto a questo desolante risultato: dalla partecipazione del presidente del consiglio comunale Vecchio (ai tempi assessore all’Istruzione) ai “funerali” del boss Serraino (in verità vietati dal Questore di Reggio Calabria per motivi di ordine pubblico), all’operazione “Astera” sulle infiltrazioni mafiose nell’impresa “Multiservizi” (51% del comune, 49% privati). Dall’arresto del consigliere comunale Plutino (PdL, manco a dirlo), accusato di essere referente politico della cosca Caridi, all’arresto della suocera dell’assessore Tuccio, accusata di aver favorito la latitanza del boss Domenico Condello (all’insaputa di Tuccio, naturalmente, che ignorava il rapporto di parentela della sua compagna con Pasquale Condello).
Quando il Ministro Cancellieri specifica che non si tratta di infiltrazioni ma di contiguità, non bisogna pensare che la situazione sia meno grave di quel che si pensasse. Anzi. Significa che la ‘ndrangheta non si è semplicemente “infiltrata”. Bensì, ha letteralmente occupato le istituzioni comunali, condizionandole fortemente. Si è trattato di una pacifica e reciprocamente “fruttuosa” convivenza.
Colpisce infine, e non poco, che alcune associazioni antimafia abbiano firmato petizioni a sostegno di un’amministrazione palesemente contigua alle ‘ndrine, che voleva opporsi allo scioglimento. E’ ora che i cittadini, non soltanto quelli calabresi, si rendano conto del fatto che i fallimenti economici, i dissesti, quasi sempre, avvengono in presenza di rapporti inconfessabili tra politica e mafia. Checché ne dica Scopelliti, infatti, non c’è nessun complotto ai suoi danni.