La Regione Puglia presenta il conto, salatissimo, ad Alberto Tedesco e agli altri trentadue imputati nel maxiprocesso sugli scandali legati alla sanità. 5 milioni di euro come provvisionale per presunti danni soprattutto di immagine. Ma a battere cassa ci sono anche le Asl di Lecce e di Taranto, per altri 2 milioni di euro. A tanto, per il momento, ammonta la richiesta di risarcimento presentata in mattinata, contestualmente alla costituzione di parte civile. Si è tenuta ieri, infatti, l’udienza preliminare che ha dato il via al processo padre di tutta la sanitopoli pugliese e che il gup Antonio Diella ha dovuto celebrare nell’aula della Corte d’Assise, a causa del gran numero di imputati. Lì ha voluto esserci personalmente anche lui, l’ex assessore regionale alla Sanità. È questa la prima delle tre inchieste che lo accusano di essere stato a capo di un vero e proprio “sistema” dalle relazioni fittissime e in grado di manovrare appalti, nomine, favori.

Una cupola in piena regola, all’ombra della quale si sono intrecciati affari e politica. I reati contestati sono di associazione per delinquere, concussione, abuso d’ufficio, corruzione e falso, gli stessi per cui, per due volte, il 20 luglio 2011 e il 15 febbraio 2012, il Senato ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere con gli arresti domiciliari a carico di Tedesco, parlamentare dal 2009, prima in quota Pd e dallo scorso anno passato al Gruppo Misto. Il prossimo 5 ottobre, il gup si pronuncerà sull’ammissibilità delle costituzioni di parte civile, presentate anche dall’Arpa Puglia e dalla Coop Service, oltre che dalla Asl di Bari, che, però, non ha quantificato l’ammontare del danno. “Quello materiale non riusciremo mai a stabilirlo, su quello d’immagine ci stiamo lavorando e non è da poco, visto che nella mia azienda, tra gli altri, si sarebbero verificati gravi episodi di corruzione di funzionari”, spiega il direttore generale Domenico Colasanto, che al timone della sanità barese ha preso il posto di Lea Cosentino.

Nell’inchiesta è coinvolta anche lei, Lady Asl, oltre a imprenditori, esponenti locali del Pd, dirigenti di ospedali pubblici e manager di alcune aziende sanitarie. Tra questi, Guido Scoditti, a capo di quella leccese fino alla mattina del 25 febbraio 2011, quando il blitz dei carabinieri del Nucleo investigativo di Bari fece scattare le manette ai polsi di cinque persone, in base al provvedimento emesso dal gip Giuseppe De Benedictis. Cinque sulle ventiquattro richieste di arresto che erano state presentate dai pubblici ministeri Desirè Di Geronimo, Francesco Bretone e Marcello Quercia. Solo una ne venne eseguita in carcere, quella di Mario Malcangi, braccio destro dell’allora assessore alla Sanità. Ai domiciliari rimasero Scoditti, Paolo Albanese, poliziotto della scorta del governatore Nichi Vendola, e gli imprenditori Giovanni Garofoli e Diego Rana. Secondo i pm, tutti co-attori nella costruzione del “sistema” Tedesco che, insieme ad altre diciannove persone, avrebbe costituito un’associazione per delinquere al fine di ”commettere un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione”.

Dal 2005 al 2009, stando alla tesi dell’accusa, ha fatto parte di ”una rete che era in grado di controllare forniture e gare di appalto che venivano illecitamente pilotate verso imprese facenti capo ad imprenditori collegati da interessi familiari e economici con i referenti politici e che erano in grado di controllare rilevanti pacchetti di voti elettorali da dirottare verso il Tedesco in occasione delle competizioni elettorali”. È a questo processo che potrebbe essere accorpato anche l’altro, un nervo scoperto per la sanità pugliese, quello per cui ieri si è tenuta l’udienza preliminare davanti al gup Susanna De Felice. Ad essere coinvolti, in questo caso, sempre Lea Cosentino e, stavolta, anche il presidente della Regione Vendola. Entrambi sono accusati di concorso in abuso di ufficio, perché avrebbero favorito il medico Paolo Sardelli nell’aggiudicarsi il posto di primario di chirurgia toracica al San Paolo di Bari. È stata la Cosentino a chiedere che il fascicolo venga unificato al processo inaugurato oggi, stoppando così, di fatto, la richiesta avanzata dal numero uno di Via Capruzzi di definire la sua posizione con il rito abbreviato.

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Scontare la pena, ma non in una galera

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