Nello scontro al vertice della Banca centrale europea si vede netta l’ombra degli Stati Uniti. Decisivi per rafforzare le posizioni del presidente Mario Draghi sono stati gli amici americani. Un network di rapporti consolidati con economisti e banchieri al massimo livello, curato personalmente, senza ricorrere a intermediari, costruito negli anni in cui Draghi è stato vice presidente per l’Europa di Goldman Sachs (dal 2002 al 2005) e, in seguito, nei sei anni da presidente del Financial stability board, l’organismo internazionale che ha il compito di monitorare il sistema finanziario mondiale.

Proprio la rete dei contatti negli Stati Uniti sta risultando la vera carta vincente, giocata nel pressing fatto sulla Germania per convincere la cancelliera Angela Merkel a isolare le posizioni oltranziste della Bundesbank e dare il sospirato via libera, concesso giovedì 6 settembre, all’acquisto dei titoli di Stato emessi dai Paesi europei in difficoltà. Fondamentali risultano i rapporti con Timothy Geithner, segretario al Tesoro americano, e con lo stesso Obama, interessati a evitare il crollo dell’Eurozona prima delle elezioni presidenziali americane.

 LE  RADICI DEL MIT.  Importante per Draghi è stato l’esordio: il dottorato al Massachusetts institute of technology (Mit), dove ha subito legato con il compagno di studi Ben Bernanke, l’attuale presidente della Federal Reserve, e con il professore americano Stanley Fischer, dal 2005 alla guida della Banca centrale d’Israele. Bernanke e Draghi hanno frequentato insieme al Mit un dottorato in economia, diventando amici oltre che colleghi. I due banchieri, però, vivono realtà opposte: Bernanke è in sintonia con Obama, mentre Draghi è alle prese con 17 governi e l’opposizione della Bundesbank, la banca centrale tedesca.

Il presidente della Bce non ha potuto partecipare quest’anno al simposio annuale tra banchieri centrali che si è tenuto il 31 agosto a Jackson Hole, perché impegnato a sbloccare gli acquisti di bond in Europa. Al suo posto, però, ha fatto la voce grossa l’ex compagno di banco Bernanke, che si è detto insoddisfatto della situazione economica attuale e ha spiegato la necessità di nuovi interventi a sostegno dell’economia, rafforzando così la posizione di Draghi nel braccio di ferro con la Germania. Repubblicano, nominato presidente della Fed da George Bush, Bernanke fu riconfermato da Obama con il quale ha stabilito una intesa notevole, grazie a una linea interventista e generosa della Fed, impegnata a stampare moneta per sostenere l’economia americana.

 Il periodo al Mit, negli anni ’70, ha permesso a Draghi di conoscere un’altra persona importante, Stanley Fischer, che è stato suo professore e relatore della tesi di Bernanke. Nato da una famiglia ebrea in Zambia, Fischer si trasferì negli Stati Uniti e nel 2005 prese la cittadinanza israeliana per diventare governatore della Banca centrale d’Israele. Prima di rinunciare alla cittadinanza americana, dal 1994 al 2001, è stato vicedirettore generale del Fondo monetario internazionale e candidato alternativo a Christine Lagarde per la sostituzione di Dominique Strauss-Kahn alla guida dell’organizzazione di Washington. Sempre durante gli anni da studente del Mit, Draghi ha fatto una terza conoscenza preziosa anche se ora un po’ fuori dai giochi: Paul Volcker, al tempo governatore della Fed di New York, diventato poi presidente della Banca centrale americana dal 1979 al 1987. Noto monetarista, Volcker ottenne la stabilità dei prezzi restringendo l’offerta di moneta, ma il risultato fu una delle recessioni più gravi del dopoguerra.

L’APPOGGIO DI GEITHNER IN VISTA DELLE ELEZIONI USA.  Particolarmente vicino al numero uno della Bce è Timothy Geithner, segretario al Tesoro americano, interessato ad evitare il crollo dell’Eurozona alla vigilia dello scontro tra Barack Obama e il repubblicano Mitt Romney. Geithner, protagonista dell’establishment finanziario di New York, ha conosciuto Draghi quando quest’ultimo era a Goldman Sachs ed è in prima fila tra i suoi sostenitori. Significativa una dichiarazione del mese scorso, all’indomani del viaggio in Germania organizzato per incontrare l’amico Draghi e il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. “L’Eurozona”, ha dichiarato Geithner, “deve muoversi per abbassare i tassi d’interesse e assicurare credito a chi ne ha bisogno”.

ROBERT RUBIN E LA PUBBLICITA’ SUL FINANCIAL TIMES. La pista dei rapporti tra Draghi e Geithner porta a un grande vecchio della finanza americana, Robert Rubin. Proprio Geithner, infatti, è stato sottosegretario al Tesoro per gli affari internazionali sotto Rubin, considerato una vera leggenda a Goldman Sachs, dove ha lavorato quasi 30 anni e di cui è stato co-presidente dal 1990 al 1992. Rubin, nominato segretario al Tesoro da Bill Clinton, è stato mentore di Geithner e di Henry Paulson, diventati entrambi successivamente segretari al Tesoro. In favore di Draghi, Rubin si è schierato ufficialmente il 14 agosto scorso, pubblicando un editoriale sul Financial Times intitolato “La Bce ha ragione a chiedere più azione nell’Eurozona”, dove ha specificato in un inciso di essere un caro amico personale del numero uno della Bce. Nel lungo articolo, pubblicato con l’intento di convincere la Germania ad allentare la presa, Rubin ha sottolineato che “l’adozione di un piano adatto ridurrebbe il deficit a tal punto da ottenere la fiducia del mercato e a influire positivamente sulla crescita”.

HENRY PAULSON, L’EX CAPO DI GOLDMAN SACHS CHE HA LIBERALIZZATO LA SPECULAZIONE BANCARIA.  Henry Paulson è stato amministratore delegato e presidente di Goldman Sachs dal 1999 al 2006, negli anni in cui anche Draghi lavorava nella banca d’affari. I due hanno costruito così un rapporto consolidato, poi mantenuto negli anni. Paulson, diventato segretario al Tesoro nel 2006 sotto l’amministrazione George W. Bush, è ricordato per il ruolo avuto nel 2004, quando era al culmine della carriera, nello spingere la Sec, l’organismo americano di controllo dei mercati, ad approvare nel 2004 un aumento dei limiti sull’indebitamento, che ha permesso alle banche d’investimento di ottenere ulteriori prestiti per manovre speculative più aggressive.

Sempre il filo rosso di Goldman Sachs, infine, lega Draghi ad un altro americano influente: il ricchissimo Henry Kravis, che ha un patrimonio di oltre quattro miliardi di dollari. Kravis è co-fondatore del fondo di private equity Kohlberg Kravis Roberts, che ha svolto diverse operazioni con Goldman Sachs. Kravis è stato un grande sostenitore e organizzatore di raccolte fondi dell’ex presidente George W. Bush e dell’ex candidato repubblicano John McCain.

Articolo Precedente

Antispread, un compromesso alto

next
Articolo Successivo

Eurocrisi, dopo il via libera al piano anti-spread, quanto durerà l’ottimismo?

next