In fondo al mare, a largo di Monterosso (Cinque Terre) le reti a strascico raccolgono motori fuoribordo, insegne dei ristoranti, plastica e legnami. I pesci devono aver pensato che non è aria per quanto riguarda il golfo spezzino, e già da qualche mese se ne sono andati. Chi è pendolare sulla tratta Genova – La Spezia, o studia negli atenei lombardi e toscani, rientrando a casa deve indossare stivaloni di gomma dalla stazione ferroviaria fino alla propria abitazione.

Nessuna grande inchiesta dietro a questi fatti: qualunque abitante dei comuni di Vernazza e Monterosso potrebbe raccontarveli, e confermare i disagi (mai rientrati) che le popolazioni dello Spezzino e della Lunigiana affrontano quotidianamente dallo scorso 25 ottobre.

La grande alluvione, certo. Quella che ha fatto scalpore nei Tg nazionali e nelle maggiori testate del bel paese per una decina di giorni autunnali; la stessa alluvione che, terminate le ore del grande cordoglio, della compassione venduta a mezzo stampa e delle cornici melense (“i giovani liguri si rimboccano le maniche”) ha smesso di essere notizia succulenta. E dei fatti di quel pezzo d’Italia patrimonio dell’Unesco, delle conseguenze riversatesi gravemente sull’ecosistema, nessuna traccia a livello mediatico. È stata un’amica di Monterosso a raccontarmelo, esprimendomi il disagio reale di coloro che vivono laggiù.

Le notizie di stampo ambientale non hanno spazio e non hanno mercato: è questo l’appello dei Giornalisti Ambientali al quale mi sento di aderire con l’auspicio che questa voce si faccia sempre più più grossa, sempre più udibile.

L’opinione pubblica stessa non è preparata a ricevere questo tipo di informazioni (sono tentata di proporre un micro questionario ai miei dirimpettai: quanti sapranno elencarmi almeno in linea di massima le decisioni prese a Kyoto nel ’97?).

Eppure tanto si è fatto a livello d’informazione libera e autorevole negli ultimi anni per sdoganare alcuni di quei temi che fanno arrossire, che creano la pericolosa deriva del tabù culturale; si pensi all’accelerata nei confronti delle tematiche femminili, dello spazio che il linguaggio quotidiano delle donne “qualunque” (quanto è bello questo accostamento!) ha trovato e della denuncia, grave ma fondamentale, della violenza domestica. Parliamone, quindi. Scriviamo e raccontiamo. Una chiacchierata con un’amica può esser un buon inizio.

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