Pechino – L’ex ministro delle ferrovie accusato di corruzione: espulso dal partito. Un ex capo del Partito comunista cinese di Foshan, arricchitosi con tangenti: licenziato. E oggi la notizia secondo la quale il vice presidente della Banca dell’Agricoltura sarebbe agli arresti: è accusato di avere usato i soldi dei correntisti per ripianare i suoi debiti con i casinò a Macao. Una nuova ondata di corruzione che tiene come al solito impegnata la commissione disciplinare del Pcc. Addirittura qualche giorno fa tre ex funzionari hanno scritto una lettera in cui viene chiesta trasparenza sui conti economici dei potenti locali. La corruzione è da sempre un problema endemico in Cina e i recenti scandali, completano il quadro: si tratta infatti di casi da manuale.

Quello di Liu Zhijun è un caso emblematico sul dramma della corruzione in Cina ad alti livelli ministeriali. Ministro delle ferrovie per otto anni a partire dal 2003, fu indagato per corruzione lo scorso anno. Il primo risultato dell’inchiesta furono le dimissioni. In Cina, però, quando si cade, si tende spesso a farlo in modo rovinoso: poco dopo ci fu infatti il tragico incidente di Wenzhou, nel luglio scorso, che vide la morte di 40 persone (tra cui una ragazza italiana). Liu era stato il promotore dell’alta velocità, le nuove indagini lo classificarono come “moralmente corrotto”. Vennero fuori mazzette, sgarbi, e tante amanti. Bruciato e infine espulso, la scorsa settimana.

Il caso del funzionario del Foshan indica invece come la corruzione pervada ogni livello della nomenklatura cinese, anche quelli più bassi: si tratta di un funzionario di medio livello, capace però di arrotondare con tangenti varie fino a 25 milioni di yuan (oltre 3 milioni di euro) in sette anni. Un post su Sina Weibo, il Twitter cinese, affermava che “l’ammontare dell’appropriazione indebita è superiore a quello che molte persone possono immaginare di guadagnare nell’arco della loro vita intera, e il rango di questo personaggio è solo quello di vice-capo divisione”. Infine il caso più recente, quello di Yang Kun. Lavora alla Banca dell’Agricoltura da più di 20 anni e ne è attualmente il vicedirettore. Considerato una stella nascente nel settore dei servizi finanziari cinesi, è stato arrestato perché pescato ad usare soldi dei correntisti per saldare debiti a Macao. Yang Kun è un altro la cui carriera è ormai appesa da un filo: secondo alcune fonti citate dai media locali lo scandalo coinvolgerebbe ingenti somme di denaro, vista la velocità con cui le autorità hanno agito. Secondo altre fonti, citate dal South China Morning Post di Hong Kong, “Yang e i suoi amici dovevano ingenti somme ai casinò, perché sarebbero emerse lamentele e successivamente il caso sarebbe arrivato all’attenzione della commissione anti corruzione del partito”.

Un andazzo che pare ormai giunto a un punto finale, secondo l’opinione pubblica locale: “i candidati al Comitato centrale del Partito e alla Commissione centrale per le ispezioni disciplinari dovrebbero comunicare al 18° Congresso del Partito la loro ricchezza privata e familiare. La nuova leadership del partito deve mostrare ai connazionali la sua posizione decisa nell’adottare la tolleranza zero per la corruzione dei funzionari di partito”. E’ l’inizio di una lettera con cui tre ex funzionari – la settimana scorsa – hanno fatto proprie le proteste popolari degli ultimi tempi, chiedendo trasparenza economica ai leader del paese. I funzionari e i loro famigliari – sempre più presenti nelle cronache mondane che grazie al web divampano in Cina – appaiono infatti quasi sempre molto più ricchi di quanto dovrebbero essere. Di fronte ad una lieve flessione economica e a piccoli segnali di crisi, i cinesi non sono più disposti a tollerare i soprusi dei potenti. Il Congresso di ottobre oltre a sancire il nuovo corso politico con le nomine di una nuova leadership, dovrà convincere i cittadini cinesi di un cambio di marcia in corso. A rischio c’è una coesione sociale raggiunta dopo trent’anni di riforme e progresso economico sfrenato.

di Simone Pieranni

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