Nei giorni scorsi abbiamo assistito a una discussione senza capo né coda sulla condizione delle persone omosessuali all’interno dei gruppi scout, in particolare dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (Agesci). Dico “senza capo né coda” perchè francamente non ci si capisce nulla: Marco Politi scrive sul suo blog del Fatto Quotidiano “Agesci: sei gay? Puoi fare il capo scout“, ma poi scopri dall’articolo di Marco Pasqua su Repubblica.it l’esatto contrario, e cioé che “Gli scout cattolici e l’omosessualità: i capi gay sarebbero un problema“, finché non ti cade l’occhio su un terzo, appassionato commento, sul blog di Leonardo.

Credo sia anzitutto apprezzabile che l’Agesci si sia occupata – e si stia occupando – del tema. Meglio del silenzio.

Il che certamente non implica che si sappia esattamente di che cosa si sta parlando. Mi riferisco al fatto – evidente a chiunque legga con attenzione gli atti, resi noti solo di recente, del seminario di studio dal titolo “Omosessualità: nodi da sciogliere nella comunità capi. L’educazione fra orientamento sessuale e identità di genere” tenutosi il 12 novembre 2011 – che i relatori di detto convegno si sono lasciati andare ad alcune affermazioni positive, altre stereotipate ed altre ancora molto discutibili.

Tra le affermazioni positive, quelle per cui non si devono esprimere giudizi sulle persone ma sui loro atti. Giustissimo.

Tra le stereotipate, invece, appare quella per cui “il capo omosessuale ha un vantaggio …: ha tendenze artistiche, è molto sensibile, è dotato per le relazioni personali”. Non tutte le persone omosessuali hanno tendenze artistiche o sono dotate per le relazioni personali. Se tutti i gay o le lesbiche avessero questi pregi, troveremmo gli affreschi della Cappella Sistina in ogni palazzo d’Italia.

Tra quelle discutibili: “il capo trasmette dei modelli e i capi che praticano l’omosessualità, o che la presentano come una possibilità positiva dell’orientamento sessuale, costituiscono un problema educativo“; “Mi chiedo … cosa fare se il ragazzo o la ragazza presenta in diversi modi tendenze [sic] omosessuali…? Secondo me bisognerebbe parlare con i genitori e invitare un esperto con cui consigliarsi. In linea generale uno psicologo dell’età evolutiva o ancora meglio un pedagogista“; questo “è un tema che ha a che fare con la scelta“; “questa costruzione di identità per la persona omosessuale … porta l’omosessualità a porsi non come una modalità di espressione della propria identità sessuale, ma piuttosto come una modalità di sottolineare la differenza tra omosessualità ed eterosessualità in maniera forte, negando così la specificità dei diversi percorsi. Vale a dire che ci si propone all’altro ponendosi ‘contro’ e non dicendo della propria fatica a costruire la propria identità“.

Sembra quasi che l’accettazione delle persone avvenga sempre attraverso una sorta di gentile e graziosa concessione, che essere gay o lesbica comporti un qualche disturbo e, infine, che dichiararsi significhi in qualche modo “porsi contro” lo scoutismo e così via. Come se essere omosessuali significasse sempre uscire dalla retta via, opporsi a una regola o soffrire di patologie psichiatriche.

A parte tutto ciò, che rispecchia l’opinione personale dei relatori ma – mi pare – non dell’Agesci, non ho trovato risposta alle due domande che a mio parere dovrebbe porsi chi s’interessa della questione.

Primo: come devono comportarsi i ragazzi e le ragazze omosessuali che oggi già fanno parte di un gruppo scout?

Già, perchè mentre i vertici si interrogano sul tema, ci sono centinaia, migliaia di ragazzi e ragazze che osservano in silenzio e patiscono la sofferenza di chi deve scegliere tra l’essere cacciato – e rimanere in qualche modo orfano di un’esperienza che invece piace – e il restare prigioniero di un gruppo che gli chiede sostanzialmente di smettere di essere se stesso. La scelta è netta: o si decide the è irrilevante l’essere gay o eterosessuale, e quindi si afferma con chiarezza che non c’è nessun problema, oppure si afferma il contrario e quindi chi è gay o lesbica qui-non-può-stare e se-ne-deve-andare.

Che poi spesso l’opzione di andarsene non è praticabile: uscire da un gruppo scout significa spesso doversi confrontare con la propria famiglia, rivelando le ragioni dell’allontanamento. In questo senso, andrebbe considerato che l’appartenenza agli scout non diminuisce, bensì amplifica, o quantomeno raddoppia, la pressione psicologica sui giovani gay e lesbiche in termini di mancata accettazione ed disistima.

Secondo: come l’Associazione deve trattare un capo scout gay?

Qui i relatori sembrano distinguere tra i gay dichiarato e quello non dichiarato. Il problema si pone solo nel primo caso, dicono, perchè il capo è un modello e pertanto un “modello omosessuale” potrebbe creare qualche “problema educativo”.

Però è chiaro che spesso nascondersi non è possibile. Infatti, non esiste solo il protective closet, cioè il non-dichiararsi che ti protegge: c’è pure il threatening closet, quello che ti scova ovunque ti nascondi, minaccia di scoprirti ed anzi ti svela con la forza. Dire che uno è a posto se non si dichiara significa imporgli di vivere una vita di falsità, menzogne e contraddizioni. Bisogna chiedersi se sia questo il modello di vita che l’Agesci intende trasmettere ai suoi rover e alle sue scolte.

La questione, dunque, è ineludibile anche nel nostro Paese. Quando diciamo aun capo scout dichiaratamente gay che non ci piace, siamo proprio sicuri che il giudizio che gli stiamo dando dipenda veramente dalle sue azioni e non, semplicemente, dal suo essere omosessuale?

Trattandosi di migliaia di giovani, la società italiana, e dunque tutti noi, abbiamo interesse a conoscere come esattamente l’Agesci intende affrontare, una volta per tutte, la questione.

P.S.: In America esiste un caso famoso: Boy Scouts of America v. Dale, deciso dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel 2000. Esso riguardava la libertà dell’associazione di allontanare un giovane boy scout solo perché aveva dichiarato di essere omosessuale. La Corte, pronunciandosi a favore di Bsa, ritenne prevalente la libertà dell’associazione di scegliere i propri associati, scatenando così la reazione di diverse città, che hanno negato spazi pubblici alla Bsa in quanto ente che discrimina sulla base dell’orientamento sessuale – proprio com’è accaduto recentemente nel comune sardo di Jerzu, come si legge qui.

Articolo Precedente

Guantanamo: ma quale processo del secolo?

next
Articolo Successivo

Giornata mondiale contro Green Hill, a Roma proteste anti vivisezione

next