“Qui mi fanno morire”. Così Cesare Bellagamba, pensionato di 61 anni, dice a sua moglie il giorno del suo ingresso nel Pronto Soccorso dell’Ospedale S. Giuseppe di Albano (Roma) dove viene ricoverato d’urgenza per un grave episodio di insufficienza respiratoria. E’ l’11 dicembre 2009.
Cesare è cardiopatico, diabetico. Ha bisogno di cure immediate. “Non si trovavano posti letto” si giustificherà poi la Asl competente. E così il paziente viene lasciato su una barella. Per tre giorni. Sono i familiari a trovare una soluzione in extremis nella vicina Aprilia. “Ma quando siamo andati a prendere mio marito – racconta la moglie Angela – era già morto“.
Angela denuncia la struttura sanitaria. Partono numerose interpellanze
parlamentari per far luce sui fatti. Tv e giornali si occupano della vicenda le prime settimane poi, l’episodio, come troppo spesso accade, viene dimenticato; ma la Giustizia ha continuato a fare il suo corso fino ad arrivare, nella giornata di ieri, al rinvio a giudizio per omicidio colposo di tre medici e sette infermieri disposto dal Gup del Tribunale di
Velletri Antonio Cairo.
E’ l’ennesimo inquietante caso di malasanità italica, una piaga indegna di un paese civile in cui la salute è soggiogata ai comportamenti fraudolenti, alle truffe e agli sprechi di denaro pubblico. All’indifferenza, al malaffare, agli interessi privati e alla correità di tanta parte della politica. E per i veri responsabili il giudizio è, quasi sempre, rinviato. A data da destinarsi…
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