Dopo due anni, due mesi e 25 giorni dalla vittoria di Milano nella gara internazionale per l’Expo 2015, si torna al punto di partenza: l’amministratore delegato della società di gestione, Lucio Stanca, esce di scena. Si ricomincia tutto da capo, con l’arrivo dell’attuale direttore generale del Comune di Milano, Giuseppe Sala. Stanca si è dimesso ieri, durante il consiglio d’amministrazione di Expo spa, ma già da tempo era manager dimezzato, sfiduciato e rimbrottato dai politici che contano nella partita (Roberto Formigoni in testa) come uno scolaretto che si applica poco e rende ancor meno. Per ultima era arrivata Diana Bracco, industriale farmaceutica e presidente di Expo, che in una letterina di nove pagine aveva dato il benservito a Stanca.

Bilancio ben scarso, quello dell’amministratore delegato, che in 14 mesi d’attività non è riuscito a sciogliere nessuno dei nodi sul tavolo, ma in compenso ha intascato un appannaggio di 450 mila euro (“Ma ho rinunciato a un terzo, perché ho ben chiaro il senso della crisi che il Paese sta attraversando”). Ora che l’hanno fatto fuori, si capisce meglio il motivo per cui non ha rinunciato al doppio incarico, mantenendo anche il seggio alla Camera: non credeva neppure lui che ce l’avrebbe fatta a resistere ai vertici di Expo.

Ex manager Ibm, Stanca nel 2001 fu chiamato da Silvio Berlusconi, con grandi squilli di trombe, a reggere il ministero dell’Innovazione. Alle mirabolanti promesse di modernizzare l’Italia sono seguite ben misere realizzazioni, tra cui una carta d’identità elettronica annunciata ma di cui siamo ancora in attesa. Il suo è stato un ministero così attivo, che nessuno si è accorto della sua soppressione. Ma Berlusconi è ricorso ancora a lui (diventato nel frattempo prima senatore e poi deputato del Pdl) quando ha dovuto riempire la casella dell’Expo rimasta vuota nel 2009, dopo un anno di polemiche e l’addio di Paolo Glisenti, manager di fiducia del sindaco Letizia Moratti.

L’investitura di Arcore non gli è bastata. Chi ha partecipato alle riunioni sull’Expo racconta uno Stanca non particolarmente brillante, che ogni tanto sembra addirittura assopirsi durante le discussioni. Ma ciò che è mancato è soprattutto il suo contributo strategico. Non è riuscito a gestire i rapporti con il mondo della politica romana. Non è riuscito a convincere gli exposcettici guidati dal ministro Giulio Tremonti, impegnato più a tagliare i fondi che a finanziare l’impresa. Non ha saputo convincere neppure Letizia Moratti, rimasta l’unica, grande sostenitrice dell’Expo. E  mentre la posizione del sindaco andava via via indebolendosi, non ha saputo stringere un rapporto solido con Formigoni, che dal vertice della Regione è diventato l’uomo forte che può salvare l’operazione.

Così Expo ha divorato prima Glisenti, poi Stanca. Ora il terzo manager chiamato a portare l’esposizione 2015 fuori dalle secche è Giuseppe Sala, ex manager Pirelli e attualmente direttore generale del Comune di Milano. Ci riuscirà, o farà la stessa fine dei primi due? Sala ha fama di uomo concreto. È considerato politicamente vicino al centrosinistra, tanto che nei giorni scorsi era stato fatto il suo nome come quello di un possibile candidato sindaco alle elezioni del 2011, contro Letizia Moratti. Il suo sponsor politico è Enrico Letta, area moderata del Pd. Ma Sala ha un rapporto consolidato anche con il gran consigliere di Silvio Berlusconi Bruno Ermolli, l’uomo a cui piace essere considerato il Gianni Letta di Milano.

È stato Ermolli a portare Sala a Palazzo Marino, 18 mesi fa, facendolo sedere sulla poltrona più importante dell’amministrazione milanese. Eppure tutto ciò non basterà a garantirgli il successo nel suo nuovo ruolo di salvatore di un Expo che, dopo due anni, due mesi e 25 giorni, deve ancora decollare. Il nodo fondamentale da sciogliere resta quello dei terreni su cui impiantare l’iniziativa, in quell’area sghemba a nord di Milano tra Pero e Baranzate, contigua alla nuova Fiera. L’operazione era stata pensata da Formigoni proprio come l’occasione per sanare i conti in rosso della Fondazione Fiera. Nella prima ipotesi, le aree (circa 1 milione di metri quadri, 70 per cento della Fiera di Milano, 30 del gruppo Cabassi) dovevano essere date in concessione alla società Expo per sette anni (2010-2017). Al termine, Fiera e Cabassi avrebbero dovuto tornarne in possesso, ma con alcune gradite sorprese: la possibilità di edificare. La convenzione segreta sottoscritta nel giugno 2007 dal Comune e dai due proprietari  stabiliva che nel 2017 l’area sarebbe stata restituita a Fiera e Cabassi con un indice 0,6 (ossia puoi costruire 6 metri quadri ogni 10, per un totale di 600 mila metri quadri). Indice poi addirittura innalzato a 1 dal nuovo piano di governo del territorio (Pgt) in approvazione a Milano (dunque si potrà costruire ben 1 milione di metri quadri).

Questa prima ipotesi è tramontata, perché il progetto di Expo fatto poi passare è stato quello “leggero” che prevede non grandi edificazioni, ma un immenso orto botanico planetario delle biodiversità, dei climi del mondo e delle loro tipicità alimentari. Con le coltivazioni, i prodotti, le eccellenze dei Paesi espositori. Questa l’idea della consulta internazionale voluta da Letizia Moratti e formata da Stefano Boeri, Richard Burdett (quello che sta progettando le olimpiadi di Londra 2012), Jacques Herzog (quello dello stadio-nido di Pechino), William Mc Donough (collaboratore di Al Gore) e Joan Busquets (olimpiadi di Barcellona). Con la collaborazione anche di Carlin Petrini, il papà di Slowfood. Ecco il nodo che Sala dovrà sciogliere. Continuare su questa strada, o tornare al progetto delle edificazioni e delle valorizzazioni immobiliari?

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