Licenziato. Quando ieri mattina Papa Francesco lo ha ricevuto in udienza privata, il cardinale Gerhard Ludwig Müller era preparato a tutto. Bergoglio gli ha ricordato che il 2 luglio prossimo termina il suo mandato quinquennale come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e che non gli sarebbe stato rinnovato l’incarico. Il porporato è rimasto in silenzio fin quando il Papa non gli ha proposto un altro incarico a Roma, ovviamente di serie B considerando che l’ex Sant’Uffizio è il dicastero più importante della Curia romana e che Müller è il secondo successore di Joseph Ratzinger che è stato al vertice della congregazione per un quarto di secolo prima di essere eletto Papa. Si racconta che allora il porporato tedesco ha cortesemente declinato la proposta ringraziando per l’offerta che gli era stata fatta da Francesco. Molto probabilmente ora tornerà nella sua Germania, senza alcun incarico. In pensione ben cinque anni prima dell’età canonica delle dimissioni. Müller, infatti, il 31 dicembre 2017 compirà 70 anni.

Al posto, però, il Papa ha preferito una soluzione interna con la nomina del numero due del dicastero, l’arcivescovo gesuita spagnolo Luis Francisco Ladaria Ferrer. Bergoglio non ha voluto dunque chiamare un teologo a lui molto più affine anche per evitare un lungo passaggio di consegne e ha optato per una soluzione molto più rapida.”Il Santo Padre Francesco – si legge in un comunicato della Santa Sede – ha ringraziato l’Eminentissimo Signor Cardinale Gerhard Ludwig Müller alla conclusione del suo mandato quinquennale di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e di presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale, ed ha chiamato a succedergli nei medesimi incarichi Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Luis Francisco Ladaria Ferrer, S.I., arcivescovo titolare di Tibica, finora segretario della Congregazione per la dottrina della fede“.

In queste ore, soprattutto negli ambienti tradizionalisti molto vicini al porporato, in tanti si sono affrettati a spiegare il licenziamento voluto dal Papa con le posizioni abbastanza fredde del cardinale alle aperture di Francesco ai divorziati risposati. Aperture contenute nell’esortazione apostolica di BergoglioAmoris laetitia, documento bersagliato da quattro cardinali, capeggiati da Raymond Leo Burke, che hanno più volte espresso i loro dubbi a Francesco. A dire il vero, però, Müller ha fatto fronte comune con il Papa davanti a tutti questi attacchi criticando la pubblicazione della lettera che era stata scritta dai quattro cardinali. “Amoris laetitia – ha più volte ribadito il porporato – è molto chiara nella sua dottrina e possiamo interpretare tutta la dottrina di Gesù sul matrimonio, tutta la dottrina della Chiesa in 2000 anni di storia. Francesco chiede di discernere la situazione di queste persone che vivono un’unione non regolare, cioè non secondo la dottrina della Chiesa su matrimonio, e chiede di aiutare queste persone a trovare un cammino per una nuova integrazione nella Chiesa secondo le condizioni dei sacramenti, del messaggio cristiano sul matrimonio. Ma io non vedo alcuna contrapposizione: da un lato abbiamo la dottrina chiara sul matrimonio, dall’altro l’obbligazione della Chiesa di preoccuparsi di queste persone in difficoltà”.

Il vero motivo del licenziato di Müller riguarda, invece, la gestione dei casi di pedofilia. È proprio la Congregazione per la dottrina fede, infatti, il dicastero vaticano a cui spettano le condanne dei preti che commettono abusi sessuali sui minori. È molto probabile che Francesco pensasse da tempo a congedare il porporato, ma lo scandalo del cardinale australiano George Pell accusato nel suo Paese di aver commesso pedofilia e stupri ha convinto definitivamente il Papa a fare questa mossa. A puntare il dito contro Müller era stata Marie Collins, la vittima di abusi da parte del clero che Francesco aveva nominato nella Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Dopo che anche l’altra vittima, Peter Saunders, aveva lasciato l’organismo vaticano istituito da Bergoglio per combattere la pedofilia, la Collins non era rimasta in silenzio nel momento in cui aveva deciso di dimettersi.

“Da quando la commissione ha iniziato i suoi lavori a marzo del 2014 – aveva spiegato la donna irlandese – sono stata impressionata dall’impegno dei miei colleghi e dal genuino desiderio di Papa Francesco di avere assistenza nell’affrontare il tema degli abusi sessuali del clero. Credo che costituire la commissione e coinvolgere esperti esterni per consigliarlo su cosa fosse necessario per rendere più sicuri i minori sia stata una mossa sincera. Tuttavia – proseguiva la Collins – nonostante che il Santo Padre abbia approvato tutte le raccomandazioni fattegli dalla Commissione, vi sono stati costanti ostacoli. Ciò è stata la causa diretta della resistenza da alcuni membri della Curia vaticana al lavoro della Commissione. La mancanza di cooperazione, in particolare da parte del dicastero più direttamente coinvolto nell’affrontare i casi di abuso è stata vergognosa”, aveva affermato la Collins riferendosi esplicitamente alla Congregazione per la dottrina della fede, ovvero a Müller.

“Alla fine dell’anno scorso (2016, ndr), – aveva denunciato ancora la donna – una semplice raccomandazione, approvata da Papa Francesco, è andata a questo dicastero per un piccolo cambiamento di procedura nel contesto della cura delle vittime e dei sopravvissuti. A gennaio ho saputo che quel cambiamento è stato rifiutato. Al tempo stesso è stata rifiutata anche una richiesta di cooperazione su un tema fondamentale del lavoro della commissione in merito alla salvaguardia. Mentre penso che la Commissione riuscirà a superare questa resistenza, per quanto mi riguarda è la goccia che fa traboccare il vaso”. Altrettanto esplicita è stata la Collins dopo lo scandalo che ha travolto il cardinale Pell puntando il dito direttamente contro il Papa e parlando di nomina sbagliata. Del resto quando Francesco, appena un mese dopo l’elezione al pontificato, nominò il porporato australiano nel suo ristretto Consiglio di cardinali che lo consiglia nella riforma della Curia romana, lo scandalo della pedofilia per Pell era già alle porte oltre che sui giornali australiani.

Fondamentale nell’opera di tolleranza zero sulla pedofilia voluta da Francesco è stato, invece, il contributo del cardinale Sean Patrick O’Malley a cui il Papa ha affidato proprio la guida della Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Il porporato cappuccino, infatti, ha dovuto gestire lo scandalo della pedofilia deflagrato in modo impressionante dell’arcidiocesi di Boston che gli fu affidata nel 2003 da san Giovanni Paolo II dopo l’inchiesta del Boston Globle sulle migliaia di casi di abusi sessuali commessi da preti e coperti dall’allora arcivescovo Bernard Francis Law. Una vicenda da cui è stato tratto il film Premio Oscar nel 2016 Il caso Spotlight.

Cinque anni fa, Müller, allora vescovo di Ratisbona, fu chiamato da Benedetto XVI a essere il suo secondo successore alla guida dell’ex Sant’Uffizio dopo un quinquennio in cui a capo della congregazione c’era stato il cardinale statunitense William Joseph Levada. Müller, che è anche il curatore dell’Opera Omnia di Ratzinger, era arrivato a Roma con la gioia di poter finalmente collaborare direttamente con quello che considera il suo maestro. Pochi mesi dopo, però, arrivarono le dimissioni di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco. In Vaticano si disse subito che Müller non era il teologo di riferimento di Bergoglio e che difficilmente i due sarebbero potuti andare d’accordo. Invece, a sorpresa, nel suo primo concistoro, il 22 febbraio 2014, Francesco gli impose la berretta rossa seppur mettendolo al terzo posto della lista dei nuovi porporati dopo il Segretario di Stato Pietro Parolin e il segretario generale del Sinodo dei vescovi Lorenzo Baldisseri.

Nei sacri palazzi fu molto apprezzato il gesto di cortesia di Francesco nei confronti di Benedetto XVI di aver nominato cardinale il curatore dell’Opera Omnia di colui che nel frattempo era diventato Papa emerito. Un gesto ancora più prezioso perché nel suo ultimo concistoro, a pochi mesi dalle dimissioni, Ratzinger non aveva inserito Müller nella lista dei nuovi cardinali. Dopo quella celebrazione in San Pietro, il porporato fu festeggiato all’interno del cortile del Palazzo dell’ex Sant’Uffizio in perfetto stile tedesco. I fumi del barbecue di salsicce e l’odore di birra rigorosamente bavarese mutarono per un giorno l’aspetto di quell’edificio dove per secoli erano state emanate le condanne peggiori: da Giordano Bruno a Galileo Galilei, solo per citare due nomi. Da parte sua Müller sembrò avvicinarsi molto alle posizioni di Bergoglio quando pubblicò un volume scritto a quattro mani con uno dei più celebri teologi della liberazione, il peruviano Gustavo Gutiérrez, intitolato “Dalla parte dei poveri”. Così come indicativo del cambiamento di rotta del porporato fu l’uscita in libreria del suo testo “Povera per i poveri” che ha la prefazione proprio di Francesco. Ma evidentemente il già non facile idillio tra i due è finito abbastanza presto.

Twitter: @FrancescoGrana

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