Con il via libera del Senato al disegno di legge per il contrasto alla povertà, l’Italia perde il poco invidiabile primato di esser rimasta l’unico Paese europeo senza una misura nazionale di sostegno agli indigenti. Ma le associazioni, le cooperative sociali e il mondo del terzo settore hanno poco da festeggiare. Non solo perché i soldi stanziati per l’effettiva partenza del Reddito di inclusione – per il 2017 circa 1 miliardo, più 600 milioni che arriveranno dal “riordino di trattamenti esistenti” – bastano solo per il 30% dei 4,6 milioni di italiani in condizioni di indigenza secondo l’Istat. E neppure perché, per l’effettiva partenza del contributo compreso tra i 250 e i 500 euro mensili, serve ora un decreto attuativo che stabilisca la soglia di reddito Isee sotto la quale sarà riconosciuta la nuova ‘social card’. Il vero problema è che nel frattempo sono stati tagliati di ben 310 milioni due Fondi con cui vengono finanziati servizi destinati proprio alle fasce più deboli della popolazione. Una beffa: mentre il ministro del Lavoro e del Welfare Giuliano Poletti rivendica il ‘passo storico’ rappresentato dall’introduzione di “una misura universale fondata sull’esistenza di una condizione di bisogno economico e non più sull’appartenenza a particolari categorie (anzianidisoccupati, disabiligenitori soli, ecc.)”, si sottraggono risorse agli interventi di welfare destinati a quelle stesse “particolari categorie”. Oltre che ai centri antiviolenza e ai servizi per la prima infanzia, per l’inclusione sociale e per la presa in carico da parte della rete assistenziale. Con una mano, dunque, il governo si prepara a distribuire 1,6 miliardi a 1,77 milioni di poveri, con l’altra toglie finanziamenti all’assistenza a persone e famiglie.

CON UNA MANO SI DÀ… – Il ddl è stato per il contrasto alla povertà è stato approvato con 138 sì, 71 no e 21 astenuti. L’articolo unico del testo, che è collegato alla manovra finanziaria 2016, delega l’esecutivo a intervenire in tre ambiti: oltre al varo di una misura nazionale di contrasto alla povertà con l’introduzione dei Rei (reddito di inclusione), anche il riordino delle prestazioni assistenziali e il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali. Il testo dovrebbe entrare in vigore entro l’estate: il governo ha sei mesi di tempo per mettere a punto i relativi decreti attuativi, ma si punta a varare il provvedimento entro fine giugno. Spetterà, quindi, proprio a un decreto attuativo definire la soglia sotto la quale si avrà diritto al sostegno. È previsto un graduale incremento del beneficio e dell’estensione dei destinatari, da individuare prioritariamente tra i nuclei familiari con figli minori o con persone disabili, donne in stato di gravidanza, disoccupati di età superiore a 55 anni. Secondo le previsioni si tratterà di un assegno di massimo 480 euro al mese (rispetto alle 400 dell’attuale Sostegno per l’inclusione attiva) da trasferire in forma di carta prepagata alle famiglie in condizioni di disagio. Sono circa 400mila (ossia 1 milione e 770mila persone) quelle con figli a carico che dovrebbero accedere al Rei.

…CON L’ALTRA SI TOGLIE – E mentre si annuncia la novità, cala il silenzio sui tagli. La decisione sulla sforbiciata ai finanziamenti all’assistenza è stata presa lo scorso 23 febbraio in conferenza Stato-Regioni: il ministro degli Affari regionali Enrico Costa e i governatori hanno infatti firmato un accordo che taglia di 211 milioni il Fondo politiche sociali lasciando sul piatto una cifra di soli 99,7 milioni, il 5% del massimo storico toccato nel 2004 quando erano stati stanziati 1,8 miliardi. Non solo: Stato centrale ed enti locali, sempre per trovare la quadra sui risparmi imposti dalle ultime manovra finanziarie, hanno dato il via libera a una riduzione di 50 milioni del Fondo per le non autosufficienze (che passa da 500 a 450 milioni di euro per il 2017), quello per il sostegno a disabili gravissimi e anziani. Massimo Garavaglia, coordinatore della commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni, dà la colpa alla “volontà del Parlamento che attua la spending review”. Proprio oggi il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini ha chiesto un incontro con il ministro Poletti “per recuperare” risorse venute a mancare sulle politiche sociali. Donata Lenzi, capogruppo Pd in commissione Affari sociali, contrattacca sostenendo che “le Regioni avrebbero potuto decidere di tagliare altre spese di loro competenza, ad esempio intervenire sulle società partecipate, senza dover toccare i fondi del sociosanitario”.

CONFCOOPERATIVE: “TAGLI CON L’ANESTESIA PER RIDURRE LE PROTESTE” – E se da Confcooperative – Federsolidarietà c’è condivisione sul piano politico per la valutazione positiva del ddl approvato in Senato “perché l’idea di intervenire in maniera sistematica sulla povertà è comunque una svolta storica” d’altro canto è lo stesso presidente Giuseppe Guerini a manifestare perplessità sul fatto che il governo stia mettendo in campo tutte le azioni possibili per contrastare davvero il disagio. “Abbiamo più volte raccomandato – spiega a ilfattoquotidiano.it – che un piano di lavoro sul tema debba essere impostato non tanto sullo spostamento di risorse, ma sulla capacità di dare la possibilità alle persone di affrancarsi dalla povertà”. La prepagata con 400 euro, ad esempio “permette solo di recuperare un po’ di spesa, ma il meccanismo assistenziale non rompe la riproduzione di un sistema che continua ad alimentare l’indigenza”. A maggior ragione se da un lato si fornisce la carta, dall’altro i Comuni si ritroveranno con meno risorse. Ed è quello che accadrà con i tagli alle porte. “Mi sorprende il silenzio attorno alla riduzione del Fondo politiche sociali – spiega – il cuore innovativo delle politiche che si era cercato di implementare dal 2000”. Ma c’è una ragione: “I Comuni percepiranno i suoi effetti a partire dal 2018, perché la ripartizione del fondo per il 2017 arriva nelle casse comunali fra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio sulle programmazioni a seguire”. Una ferita a scoppio ritardato, insomma. “Si fa un taglio con anestesia – commenta Guerini – così nell’immediato non ce ne si accorge”. Poi una nota di rammarico. “Mi ferisce – aggiunge Guerini – che l’approvazione del ddl arrivi in concomitanza con la cosiddetta ‘Flat Tax dei Paperoni’”. Si tratta della misura che permetterà da quest’anno agli investitori esteri di entrare in Italia pagando una tassa forfettaria di 100mila euro. “Il governo – conclude Guerini – decide di combattere la povertà, ma non fa nulla per combattere la disuguaglianza che ne è tra le principali cause”.

CON I TAGLI PIU’ DISPARITA’ NORD-SUD – Ma quali saranno le conseguenze del maxi taglio per le fasce più deboli della popolazione? “Meno risorse per i minori, per esempio – spiega il presidente di Confcooperative – Federsolidarietà – e per le persone con disabilità che non sono inserite in servizi strutturati, per l’assistenza socio-educativa nei contesti scolastici e quella domiciliare che viene fornita agli anziani che non hanno patologie gravi, ma che hanno comunque bisogno di determinati servizi, che sono a carico dei Comuni”. Con conseguenze anche sul divario tra Nord e Sud. Perché se al Settentrione le regioni hanno sviluppato una maggiore rete di assistenza, in molte aree del Mezzogiorno quei soldi sono  quasi l’unica risorsa a disposizione. Per quanto riguarda il Fondo per le non autosufficienze “si partiva già da una dotazione contenuta, considerando che le famiglie italiane spendono dieci miliardi solo per le badanti”. Preoccupazioni condivise anche dal Forum Terzo Settore. “Già prima dei tagli le risorse a disposizione erano molto ridotte – spiega a ilfattoquotidiano.it la portavoce Claudia Fiaschi – Sottrarre ulteriori 200 milioni non potrà che avere ricadute profondamente negative sulla condizione di vita delle persone più in difficoltà”.

E ORA GLI ENTI LOCALI DOVRANNO DECIDERE SU COSA RISPARMIARE – L’uso delle risorse è responsabilità delle Regioni “che quindi – aggiunge la portavoce – si troveranno a dover scegliere cosa tagliare tra l’assistenza domiciliare, gli asili nido e altri servizi per la prima infanzia, i centri diurni, il pronto intervento sociale, le misure di sostegno al reddito”. L’impatto più serio, però, si avrà a livello delle amministrazioni comunali “perché sono i Comuni, in particolare, che erogano questi servizi e che hanno l’effettiva possibilità di garantire alle fasce sociali più fragili l’accesso a una serie di prestazioni fondamentali”. Fiaschi ricorda che il taglio “ha origine nella legge di bilancio del 2015, dove si stabiliva che  le Regioni avrebbero dovuto contribuire alle esigenze di  finanza pubblica con una spending review pari a quasi 4 miliardi di euro per il 2017 e oltre 5 miliardi per gli anni 2018 e 2019”.  Durante l’incontro tra il ministero dell’Economia e delle Finanze e le Regioni, è stata raggiunta un’intesa per ridurre tale decurtazione a circa 2,6 miliardi. “Il rischio – spiega Fiaschi – è che ci siano ulteriori tagli nei prossimi anni”. E il reddito di inclusione? “È un inizio importante, ma non sufficiente: l’investimento iniziale è di 1,5 miliardi di euro, mentre l’importo stimato dall’Alleanza contro la povertà (di cui il Forum Nazionale Terzo Settore fa parte) per dare una copertura universale alla misura è di 5,6 miliardi”.

Articolo Precedente

Riforma Madia, addio al risparmio sui documenti auto promesso dal governo. “No a impatti negativi sul bilancio”

next
Articolo Successivo

Welfare, “per aiutare davvero i poveri serve un progetto complessivo di riorganizzazione della spesa sociale”

next