Non serve un reddito di cittadinanza, ma un lavoro di cittadinanza. L’idea è del segretario uscente del Partito Democratico Matteo Renzi. Parla dalla California, dove ha deciso di riflettere sulla ripartenza del suo percorso politico, attraverso il Messaggero: “Garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo 1 della nostra Costituzione, che parla di lavoro, non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio ma anche dignità. Il reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione”. Cosa intende per “lavoro di cittadinanza” non si sa. Mentre tutti si chiedono cosa possa essere (lavori una tantum? Socialmente utili? A chiamata?), ecco che basta fare una ricerca sul web per scoprire che la proposta del lavoro di cittadinanza Renzi non l’ha scoperta in California. Bensì in Italia, leggendo la Stampa del 9 febbraio. E’ infatti un’idea lanciata dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, con tanto di dossier elaborato dal consigliere economico e capogruppo a Montecitorio Renato Brunetta, non proprio un amico di Renzi. D’altra parte, dicono i maligni, i due si dovranno pur preparare a governare insieme dopo le prossime elezioni politiche, che quasi sicuramente non daranno una maggioranza definita.

La proposta di Berlusconi (e quindi di Renzi)
Gli italiani in difficoltà, spiegava la Stampa con un pezzo di Ugo Magri, sfiorano i 14 milioni. E la sondaggista di fiducia di Berlusconi, Alessandra Ghisleri, aveva confermato che a questo giro il bacino di voti da conquistare sono i poveri. Quindi non più (o non solo) abbassamento delle tasse o ritocchi alle pensioni. Ma un “reddito minimo garantito”. Anzi, il vero nome è proprio quello buttato lì, in mezzo al colloquio con il Messaggero, da Renzi: lavoro di cittadinanza. Il leader del Pd non lo spiega cos’è quindi viene in soccorso proprio il pezzo della Stampa che cita la proposta di Berlusconi e Brunetta: garantire per legge un’occupazione di 3 mesi a tutti quanti ne faranno domanda e questi 3 mesi di lavoro daranno diritto a trascorrerne altrettanti con l’indennità di disoccupazione.

L’urgenza di Renzi di trovare “parole nuove”
Il dato politico dell’uscita di Renzi è che ha l’urgenza di trovare un segno per “farsi notare”, di utilizzare un nuovo linguaggio, nuove elementi di riconoscimento per far ripartire il suo percorso politico, dopo la sconfitta al referendum costituzionale, le dimissioni da capo del governo, la crisi nera in cui ha trascinato il suo partito. Renzi ha la fretta di individuare, insomma, le nuove parole d’ordine, dopo lo svuotamento di quelle che ha usato in questi tre anni. La sua campagna elettorale per le primarie del Pd avrà il via ufficiale con la presentazione della sua mozione congressuale a inizio marzo, al Lingotto di Torino, cioè lo stesso posto in cui fu fondato il Partito Democratico nel 2007. “Dobbiamo rivoluzionare il nostro welfare che negli Usa non c’è come da noi in Europa“. Quindi, “niente rassegnazione o ripiegamenti su se stessi”, perché “il futuro prima o poi torna”, aggiunge, riproponendo un concetto usato un mese fa nel primo articolo del suo nuovo blog.

La battaglia a Orlando e (soprattutto) a Emiliano
Quindi l’operazione è stata in due mosse. Da una parte Renzi – quasi sdegnato – si è scrollato di dosso le beghe sulle primarie che hanno fatto litigare il Pd per settimane e se n’è andato in California. Dall’altra, però, vuole essere ben inserito nell’agenda del dibattito già serrato con i suoi rivali nella corsa alla segreteria del partito di maggioranza relativa. Risponde per esempio a Andrea Orlando che ieri aveva buttato lì che Renzi va in California e lui andrà a Scampia, allo Zen e a Quarto Oggiaro (nel senso che l’origine del successo del populismo va cercato nelle periferie). “Sto girando e continuerò a farlo – dice Renzi – Ora che mi sono dimesso da tutto sono un uomo libero. Sono stato a San Francisco ma anche a Scampia e lunedì andrò a Cernusco sul Naviglio“.

L’argomento reddito di cittadinanza invece sembra il campo perfetto per affrontare Michele Emiliano. La Regione Puglia, infatti, già da oltre un anno ha varato un “reddito di dignità” con 600 euro per 60mila persone. “E’ un modo di essere di sinistra in modo moderno” aveva detto il governatore. Già allora Renzi diceva che per combattere la povertà non ci vuole un reddito di cittadinanza ma un lavoro, così non sorprende che lo ripeta ancora oggi.

I redditi di cittadinanza nelle Regioni a guida Pd
Al contrario, in realtà, il Pd sperimenta già oggi in diverse Regioni d’Italia redditi di cittadinanza o simili chiamati in modi diversi e sviluppati con forme diverse. In Emilia Romagna – presidente Stefano Bonaccini, renziano – proprio quest’anno partirà una misura che distribuirà fino a 400 euro al mese in una platea di 90mila cittadini. In Friuli Venezia Giulia – presidente Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd, renziana – andrà avanti fino al 2018 una misura a sostegno delle famiglie, con una quota di garanzia fino a 550 euro. Provvedimento simile lo ha provato la Regione Basilicata – presidente Marcello Pittella, renziano -, dove l’assegno per circa 8mila famiglie avrebbe come base le royalty del petrolio. Ultimo caso in ordine cronologico in Regione Toscana – presidente Enrico Rossi, uscito dal Pd, proponente Leonardo Marras, capogruppo renziano – dove la proposta in discussione in consiglio propone di dividere 35 milioni di euro in favore di 54mila famiglie in difficoltà.

Il M5s: “Si è dimenticato che ha governato per 3 anni”
Nel frattempo le opposizioni al governo rispondono a Matteo Renzi. “Lavoro di cittadinanza? Ci chiediamo come mai non ci abbia pensato negli ultimi 3 anni in cui ha governato il Paese” dichiarano i parlamentari M5S delle commissioni Lavoro di Camera e Senato. “Il Jobs Act doveva creare lavoro – proseguono i Cinquestelle – ma oltre ad essersi rivelato un vero e proprio sperpero di miliardi di euro, è servito solo per rendere il mondo del lavoro più precario ed insicuro. Renzi non ha alcuna credibilità ed ha dimostrato di non aver mai avuto alcuna visione di futuro”.

Parla invece di “merce tarocca” il senatore di Forza Italia Lucio Malan. “Dopo aver messo in campo con il Jobs Act una riforma del mercato del lavoro disastrosa, i cui costi sulle tasse degli italiani sono andati in gran parte a beneficio delle aziende per assunzioni che avrebbero fatto comunque, Renzi ora lancia il vuoto slogan del lavoro di cittadinanza, cercando di pescare voti grillini con la scopiazzatura del nome. Insomma il ‘lavoro di cittadinanza’ è merce tarocca come quella che vendono abusivamente certi clandestini importati dal suo governo”.

“La proposta di Renzi sul lavoro di cittadinanza arriva fuori tempo massimo – sottolinea il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa – L’attenzione doverosa verso i soggetti più fragili doveva caratterizzare le riforme messe in campo quando Renzi era premier. Farlo ora appare un’operazione alquanto sospetta e volta a inseguire il Movimento 5 Stelle”. Il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni è sarcastico: “Renzi è proprio geniale. Perché, che il lavoro è condizione di una cittadinanza degna è scritto nel primo articolo della Costituzione, quella che lui voleva demolire, e perché – sempre lui – ha fatto approvare il Jobs Act – di cui continua a cantare le lodi contro ogni ragionevole evidenza – che aveva come principale obiettivo quello di rendere più facile il licenziamento di chi un lavoro lo ha già.

Articolo Precedente

Ex Pd ora Dp, Speranza a Gentiloni: “Abbia paura di Renzi, non di me. Non faremo mancare nostro appoggio”

next
Articolo Successivo

Renzi: “Scissione ideata da D’Alema: poteva candidarsi invece di scappare. Voto nel 2018, Gentiloni può anticiparlo”

next