Cancellati gli ultimi due scudetti, due Coppa Italia e la Supercoppa 2013. La storia della Mens Sana Siena, capace di laurearsi campione d’Italia per sette anni consecutivi, perde pezzi. Perché secondo il Tribunale Federale della Fip, che oggi condanna e mai di nulla si è accorta, nelle stagioni 2011/2012 e 2012/2013 non avrebbe dovuto essere in campo. Lo fece grazie alle acrobazie di bilancio, che portarono poi al fallimento. Senza quelle, la società sarebbe andata in dissesto già nel 2011. Il collegio giudicante ha accolto in toto le richieste della procura guidata da Marco Lucente relativamente al club e così al basket senese verranno sbianchettati una parte dei propri trionfi. Contestualmente il Tribunale ha parzialmente seguito le richieste dell’accusa per Ferdinando Minucci, che dei successi era stato il deus ex machina, e per gli altri vertici dei toscani: la segretaria generale Olga Finetti, la vicepresidente Paola Serpi, il direttore sportivo Jacopo Menghetti, l’ex vicepresidente Luca Anselmi e l’ex presidente Cesare Lazzeroni. I primi tre sono stati radiati; Lazzeroni e Anselmi sono stati inibiti per 3 anni, Menghetti fino all’8 luglio 2017 per la sola responsabilità oggettiva. L’accusa per tutti era di frode sportiva, secondo l’articolo 59 del Regolamento di giustizia, mentre i titoli alla Mens Sana sono stati cancellati con riferimento all’articolo 61 che dispone la revoca “qualora per effetto della frode sia stato conquistato lo scudetto o altro titolo”. Le motivazioni verranno depositate entro 10 giorni vista “la particolare complessità della materia”, scrive il tribunale.

Quel che si sa è che il processo sportivo alla Mens Sana Basket Siena, fallita nel 2014  e che quindi secondo giudice delegato del tribunale senese non poteva difendersi in giudizio, si era aperto in seguito all’inchiesta Time Out. Chiuse le indagini, la Procura di Siena ha trasmesso gli atti alla Fip nei quali si parla di “scritture contabili falsificate nei bilanci dal 2007 al 2013” con “particolare riferimento ai bilanci dal 2009/10” nei quali vengono esposti “consapevolmente” fatti materiali “rilevanti non corrispondenti al vero”. Secondo la perizia disposta dal pm, infatti, “palese appare la pratica di far scivolare i costi agli esercizi successivi, trascinando le perdite nel tempo”. Accuse gravi che hanno portato, lo scorso marzo, la procura a chiudere le indagini a carico di 14 persone contestando a vario titolo associazione a delinquere, riciclaggio, bancarotta fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti, omessa denuncia, false comunicazioni sociali e ricorso abusivo al credito al fine di “indurre in errore i soci, la Fip e i creditori, sulla reale situazione economico patrimoniale della società”, e anche per trarne profitto personale.

Una parte della complessa architettura era stata anticipata da Il Fatto Quotidiano in un articolo pubblicato il 29 gennaio 2013 nel quale si descriveva come la Brand Management di Rimini avesse acquistato i marchi della Mens Sana Basket, registrati nel 2009, a 7,866 milioni di euro, ovvero il 684 per cento in più del costo storico a bilancio. Quella società, nata appena un mese prima, venne creata da un unico socio, Stefano Sammarini, un esperto di marketing sportivo che negli anni Novanta aveva fondato la Essedue Promotion, agenzia di sport management attraverso la quale è stato per un decennio il consulente di Mps per il basket. E allo stesso tempo era partner anche dell’agenzia di comunicazione senese Best Solutions, che faceva capo proprio al general manager della Mens Sana Minucci nonché alla moglie Rosanna Mereu, alla figlia Federica e al genero Pierluigi Zagni. La vendita dei marchi a quella cifra monstre aveva, come scriveva a bilancio la Mens Sana Basket, “consentito il riequilibrio economico e ha dotato la Società delle risorse necessarie per mantenere una regolare gestione finanziaria”.

L’acquisizione dei marchi è uno degli snodi dell’inchiesta condotta dal pm Antonino Nastasi, secondo cui tra l’altro i vertici del club avrebbero commesso “frodi fiscali finalizzate al pagamento in nero di emolumenti su conti esteri a noti campioni della società sportiva”. Mentre la Procura di Siena, dopo aver chiuso le indagini, dovrebbe essere ormai prossima a chiedere i rinvii a giudizio, la giustizia sportiva è andata avanti. Negli scorsi mesi ha comminato pene minime, in un periodo assolutamente ininfluente come quello estivo, a giocatori e tecnici ritenuti colpevoli di aver intascato in nero parte dei propri stipendi. Gli atleti Marco Carraretto, Pietro Aradori, Daniel Hackett, Andrea Michelori, Tomas Ress, David Moss e l’allenatore Luca Banchi hanno ricevuto venti giorni di inibizione, in molti casi con uno ‘sconto’ grazie  al loro “rilievo sportivo per aver in più occasioni vestito la maglia della Nazionale”. Trenta giorni di inibizione erano toccati a un altro ex allenatore senese, Simone Pianigiani, poi diventato anche coach dell’Italbasket. Nel suo caso, la pena del tribunale sportivo era arrivata il 9 marzo, in un momento nel quale il tecnico era senza contratto. La posizione di Pianigiani in sede penale – gli veniva contestata l’evasione fiscale – era stata archiviata a gennaio per ‘favor rei’. Salvato, insomma, dall’innalzamento della soglia di punibilità, passata da 50mila a 150mila euro.

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