Riforme condivise sulla giustizia? No, nell’ipotesi migliore sono inutili se non dannose”. E’ il giudizio del presidente dell’Associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo sui contenuti del ddl sul processo penale penale in discussione al Senato. Davigo in particolare critica la misura che prevede che i procuratori generali debbano avocare i procedimenti se entro tre mesi dalla chiusura indagini non viene fatta richiesta o di archiviazione o di rinvio a giudizio. “Per esempio – ha detto Davigo – l’idea che scaduti i tre mesi, i procuratori generali debbano avocare a sé i procedimenti, significa che un numero enorme di procedimenti verrà trasferito dalle procure alle procure generali, le quali non hanno affatto i magistrati per farlo e quindi finiranno per dover applicare magistrati di primo grado. Quindi questi ultimi che non sono riusciti a fare i processi in procura, dovranno andare a non farli alla procura generale”, sottolinea segnalando una sorta di paradosso.

Critiche anche sulla prescrizione. “La nostra posizione non cambia: se definiamo la prova la traccia che un reato lascia, è evidente che il passare del tempo disperde questa traccia. Una volta che le prove sono state acquisite non c’è ragione che decorra la prescrizione”, dice. E ancora: “Perché dopo la sentenza di primo grado deve decorrere la prescrizione? Ho provato più volte a spiegare ai colleghi stranieri questa curiosa situazione italiana per cui un condannato in primo grado che fa appello, perché non gli piace la sentenza, può guadagnare la prescrizione, ma non riescono a capirlo”.

Quindi il nodo politico. “Il problema serio che contesto alla politica non è quello che fanno, ma quello che non fanno ovvero la visione strategica che è sbagliata. Il problema della giustizia in Italia è che è sommersa da una domanda patologica di giustizia. E se c’è un calo è solo per la sfiducia delle vittime: questa domanda patologica di chi vuol solo perdere tempo va contenuta”. E ancora: “Do atto al ministro Orlando di usare un linguaggio e un comportamento diversi da quelli dei suoi predecessori e di aver affrontato per primo il grosso problema del personale amministrativo. Orlando non ci ha mai provocato né insultato e non ci ha mai mandato messaggio trasversali. Ma il presidente del Consiglio sì”. Il riferimento è all’occasione in cui Renzi, commentando le posizioni dell’Anm affermò “brr che paura” (“fu una provocazione gratuita, non c’era bisogno di dirlo”, sottolinea Davigo) e ritornando anche sul taglio delle ferie, che “fu un’altra inutile provocazione e ha fatto credere che i problemi della giustizia siano legati alle ferie”. Anche perché, ha ricordato Davigo a Renzi, “hai bisogno dei magistrati per fare le riforme e se c’è uno scontro perpetuo questo non è possibile”.

Più morbido il vicepresidente del Csm Giovanni Legini, secondo il quale sulla norma sul termine dei tre mesi richiamata da Davigo “si è appuntata una posizione critica da parte nostra  e mi auguro che possa essere cambiata dal Parlamento. Mi auguro anche però che il processo di riforma organica sul penale, sul civile e sulle risoluzione delle crisi di impresa possa essere approvato al più presto perché contiene innovazioni importanti e positive per il sistema”.

Dal canto suo il ministro della Giustizia Andrea Orlando non esclude che il governo al Senato ponga la fiducia sul ddl di riforma del processo penale: “E’ una possibilità: vedremo come si sviluppa il dibattito parlamentare”. E ha poi aggiunto: “Io sono per non mettere la fiducia, sono per percorrere tutte le strade per evitarla, ma compatibilmente con un passaggio che al Senato è molto stretto. Sono stati presentati 400 emendamenti che se dovessimo discuterli e votarli tutti non approveremo mai la riforma”. Quanto alle critiche di Davigo, alla domanda se si profili uno scontro, il ministro ha risposto: “Si profilano posizioni diverse, risponderemo nel merito”.

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