“Per risolvere il problema del debito da oggi mi aspetto la massima lealtà dal governo Renzi“. Suona come un avvertimento per Palazzo Chigi la frase pronunciata da Virginia Raggi nell’intervista concessa a Euronews poche ore dopo il trionfo al ballottaggio. Chiaro quale sia la sua preoccupazione: in campagna elettorale la neo sindaca ha promesso ai romani di guarire, o almeno iniziare a medicare, la “piaga” – così l’ha definita – dei quasi 12 miliardi di passivo pregresso che gravano sui conti della Capitale e riducono al lumicino le risorse per gli investimenti. Il primo passo, ha detto, sarà un audit per certificarne l’effettiva consistenza. Poi l’ingresso del Campidoglio nella gestione commissariale. Infine la ristrutturazione. Ma rinegoziare i termini dei rimborsi con la Cassa depositi e prestiti, che è controllata dal Tesoro, è davvero possibile? In che misura? E riuscirà Raggi a entrare a gamba tesa in un dossier che ufficialmente è di competenza del “commissario straordinario per il piano di rientro”, cioè quella Silvia Scozzese che è stata assessore al Bilancio di Ignazio Marino e che il candidato Pd Roberto Giachetti, in caso di vittoria, intendeva confermare in quel ruolo?

Secondo Fabio Amatucci, professore associato di Economia delle Aziende pubbliche all’Università del Sannio e ricercatore del Cergas Bocconi, esperto di strategie di finanziamento degli enti locali, “ci sono gli spazi per ridiscutere le condizioni, sia quelle dei mutui contratti con la Cdp sia quelle dei prestiti bancari”. Quanto al fatto che la gestione del pregresso sia appannaggio del commissario straordinario nominato dal governo, “debiti e crediti fanno comunque capo al Comune” per cui “le politiche andranno comunque concordate”. Sempre che il clima sia quello della collaborazione istituzionale, della “lealtà” appunto. Non tutti ci credono: la deputata Roberta Lombardi, membro del mini direttorio della sindaca, ha già chiesto alla Scozzese di dimettersi. La partita sarà una delle più difficili che attendono la Raggi, ora alle prese con il rebus della giunta. Per uno degli assessorati chiave, quello al Bilancio, si fa il nome di Marcello Minenna, responsabile dell’ufficio Analisi quantitative della Consob, che negli ultimi mesi ha affiancato il commissario di Roma Francesco Paolo Tronca proprio nell’analisi del debito capitolino. Ma dal dirigente dell’authority – da anni in rotta con il presidente Giuseppe Vegas – non è arrivata alcuna conferma.

Il debito finanziario: 8,76 miliardi tra mutui e Buono ordinario comunale – Per capire la portata del problema conviene partire dai numeri. Sulla carta il primo cittadino si occupa solo del debito ordinario di Roma Capitale, pari a circa 1,2 miliardi. Dal 2008, quando era sindaco Gianni Alemanno, quelli pregressi sono invece separati da quelli dell’ordinaria amministrazione e gestiti da un commissario straordinario. Nell’agosto 2015 il governo ha scelto per quella carica la Scozzese, magistrato della Corte dei Conti, ex direttore della fondazione Ifel dell’Anci, fedelissima di Graziano Delrio. Stando alla sua audizione del 5 aprile scorso alla commissione Bilancio della Camera, il debito finanziario ammonta a 8,76 miliardi. La fetta più corposa è rappresentata da 1.686 mutui, di cui quasi 1.500 contratti con la Cassa depositi e prestiti, il gruppo controllato dal Tesoro che gestisce il risparmio postale degli italiani, e gli altri con istituti privati. Ci sono poi due contratti derivati sul tasso di interesse, il cui valore mark-to-market (quello che occorrerebbe pagare per chiuderli in anticipo) al 30 settembre 2015 era negativo per 32 milioni. Infine c’è il Buono ordinario comunale (Boc) emesso nel 2003, un’obbligazione con cedola annuale e rimborso del capitale alla scadenza – fissata al 2048 – per un valore di 1,4 miliardi.

Fornitori e altri enti attendono 3,2 miliardi – Al debito finanziario va sommato quello commerciale, che comprende le somme dovute alle ex municipalizzate come Atac e Ama, alla Regione e altri enti della pubblica amministrazione, a Equitalia. In tutto l’esposizione è di 3,2 miliardi. Ma non tutti i 12mila creditori, paradossalmente, sono noti. Stando alla Scozzese, “per il 43% delle posizioni non è stato individuato direttamente il soggetto creditore”.

Oltre l’80% dei finanziamenti è a tasso fisso. Interessi alti: la media supera il 4% – Pagare interessi, cedole e rimborso del capitale costa alla Capitale 500 milioni l’anno, di cui 300 arrivano dallo Stato (vale a dire che pagano tutti i cittadini) e 200 sono frutto dell’addizionale Irpef versata dai romani, che è fissata allo 0,9%, il massimo consentito. Il tasto dolente è rappresentato dagli interessi: quest’anno la media si attesta al 4,2 per cento, un valore molto alto in quest’era di tassi base sotto lo zero. Il motivo è che l’82% del debito finanziario capitolino è a tasso fisso, con un costo medio del 5%, e solo il 17,4% a tasso variabile. Il problema, insomma, è lo stesso con cui ha a che fare chi ha comprato casa contraendo un mutuo a tasso fisso quando il costo del denaro era ben più alto di oggi. E, nel caso di Roma, il quadro andrà peggiorando: Scozzese ha spiegato che “il costo della spesa per interessi crescerà fino al 5,6 nel 2041, per diminuire nel 2048, quando l’unico debito residuo sarà la restituzione del Boc”. Quest’ultimo paga un interesse annuale del 5,345 per cento: 74,8 milioni all’anno.

Le strade per la rinegoziazione: riduzione dei tassi o allungamento dei tempi di rimborso – “C’è un divario molto significativo tra i tassi pagati attualmente dal Campidoglio, superiori al 4%, e quelli a cui gli enti locali in questa fase riescono a contrarre mutui: oggi si aggirano intorno all’1,5 per cento“, sottolinea Amatucci. Secondo cui, di conseguenza, per Roma Capitale è possibile negoziare una ristrutturazione sia dei prestiti ricevuti dalla Cdp sia di quelli con le banche. Nella forma, si intende, di una limatura al ribasso dei tassi (per portarli a valori più vicini a quelli di mercato, appunto) o di allungamento del piano di ammortamento. Insomma: pagare un po’ meno interessi o spalmare il debito su più anni diminuendo le singole rate. Ma sempre in condizioni di “equivalenza finanziaria“: da escludere quindi la cancellazione di una parte del dovuto. Così come l’estinzione anticipata del mutuo, che “comporta penali molto elevate, tali da renderla non conveniente“. In ogni caso, occorre tener presente che parliamo di trattative tra controparti, in cui il creditore – implicazioni politiche e di immagine a parte – è in una posizione di forza. 

Partiamo dall’ipotesi di una rinegoziazione con Cdp. La neo sindaca dovrebbe presentare richiesta a via Goito in modo unilaterale. Una prima assoluta, perché “in passato è sempre stata la Cassa a decidere di offrire agli enti locali la possibilità di rinegoziare prestiti concessi in passato, spalmando nel tempo la durata del finanziamento” in modo da ridurre la singola rata. Si tratta insomma di operazioni decise dal consiglio di amministrazione di Cdp con il benestare dell’azionista ministero dell’Economia e alle quali, con alcuni paletti, possono aderire tutti i sindaci e presidenti di Provincia. “Al di fuori di questa strada, risulta difficile per un singolo ente provare a negoziare. Ma può farsi promotore politicamente di una soluzione condivisa anche con altri enti”, chiarisce il docente. L’ente guidato da Fabio Gallia per ora tace e si limita a far sapere a ilfattoquotidiano.it che valuterà la richiesta se e quando la Raggi, dando seguito a quanto annunciato in campagna elettorale, la presenterà.

La surroga dei mutui e la trattativa sul debito commerciale – Nel caso Cdp non intenda aprire alla rinegoziazione, il Campidoglio potrebbe comunque estinguere in tutto o in parte i finanziamenti in essere “attraverso la surroga con un altro istituto di credito”, che subentrerebbe come creditore. Quanto alle banche commerciali, di cui Scozzese nella sua audizione non ha reso noti i nomi, anche in quel caso si può ipotizzare un accordo per ridurre gli interessi, allungare i tempi di rientro e contenere la rata annuale. Infine il debito commerciale: “Anche in questo caso si può fare una ricognizione globale del debito con i fornitori, verificando se alcuni sono riuniti in consorzio, e cercare di ottenere una riduzione degli interessi a fronte di un pagamento in tempi più brevi. Diverse Regioni lo fanno abitualmente con le forniture del settore sanitario“. E’ invece destinato a rimanere fuori dal perimetro dei debiti rinegoziabili il prestito obbligazionario (Boc) emesso dal Comune nel 2003. Estinguerlo prima della scadenza costerebbe troppo.

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