“Come porre termine, come chiudere: è su questo (…) che chi vive la vita liquida moderna ha urgente bisogno di istruzioni”, scrive il sociologo polacco Zygmunt Bauman. Questo è valido per tutti. In particolare per il calciatore, che dopo avere sacrificato adolescenza e gioventù al professionismo, si ritrova ancora giovane a dover cominciare qualcosa di completamente diverso, e per di più a farlo lontano da quei riflettori e quella dimensione pubblica che hanno preso il posto di quella privata. Questo è ancor più valido per chi, come Francesco Totti, non è stato un calciatore normale, ma per quei vent’anni di vita vissuti in maniera assolutamente irreale il simbolo di una squadra e di un’intera città, dei suoi pregi e dei suoi difetti. Francesco Totti non è mai stato un calciatore “normale”, non è riuscito a diventarlo per scelta sua, e non è riuscito ad accettare chi oggi ha tentato, forse fuori tempo massimo, di “normalizzarlo”. Se una persona non ha le istruzioni, come dice Bauman, figuriamoci un campione. E il lungo addio rischia di essere raccontato nel peggiore dei modi possibili.

I fatti sono noti. Appena arrivato, il nuovo tecnico Luciano Spalletti ha subito detto che avrebbe considerato il bene della squadra e non il nome del calciatore. Totti, rientrato da un lungo infortunio, si è sentito ai margini: il suo peso nello spogliatoio, la sua partecipazione, si sono diradate. In allenamento, racconta chi assiste abitualmente, spesso non reggeva il ritmo dei compagni e trotterellava per conto suo. Gli amici lo ha definito “malinconico”. Prima della partita col Real, il tecnico l’ha paragonato a uno qualsiasi dei “vecchi” della squadra (Keita, Maicon, De Sanctis) e durante la partita gli ha concesso una passerella di cinque minuti che ha dato adito alle più svariate interpretazioni. Totti, che raramente si rivolge alla stampa e in questi mesi è stato più silente del solito, dopo la partita in zona mista ha detto a un giornalista: “Perché cerchi me? Io non conto più niente”. E tre giorni dopo ha rilasciato la celebre intervista al TG1 in cui raccontava le proprie sofferenze, chiedeva maggiore rispetto (implicando di non averne ricevuto) e prendeva le distanze dal suo allenatore (“ci diciamo giusto buongiorno e buonasera”).

Oggi con l’esclusione dai convocati per la partita con il Palermo, in cui avrebbe dovuto partire titolare, e la sua decisione di tornare a casa (o è stato cacciato? resterà un mistero), si è consumata la frattura definitiva. Non solo l’etere romano è tornato ai fasti di un tempo, ma tutti si sono sentiti in dovere di commentare e la notizia ha fatto giustamente il giro del mondo. Il calcio polarizza, per motivi squisitamente editoriali, fin dai tempi dalla famosa staffetta Mazzola-Rivera, e ovunque si è scelto di proporre un sondaggio: state con Totti o con Spalletti? Ognuno scelga il suo, se proprio ci tiene.

I fatti raccontano questo: pur riconoscendo il nome di Totti come veicolo d’immagine fondamentale – nelle vendite la maglia numero 10 supera ancora tutte le altre messe insieme, nei mercati emergenti spesso Totti è più famoso della stessa As Roma – la società tutta, staff tecnico e dirigenziale, diversi compagni di squadra, riconoscevano che i tempi del calciatore Totti erano finiti. Modi e tempi di comunicarglielo erano ostici, e di questo si è fatto carico il tecnico, a suo modo. La reazione del giocatore, che può contare su diversi appoggi a livello politico e giornalistico, e unico può permettersi di andare in onda sul principale tg nazionale, è stata quella di cui sopra.

Il futuro non è scritto, amava dire Joe Strummer. Anche quello di Totti fino a ieri era in dubbio, ma non era lontano da Roma. Come calciatore il contratto scade a giugno e poteva essere rinnovato per un altro anno, oppure, pur non avendone ancora firmato uno da dirigente, come si legge da qualche parte, certamente aveva ricevuto rassicurazioni in tal senso dalla società. La decisione finale sarebbe dovuta spettare al presidente James Pallotta, atteso a breve nella capitale. Ora però, la clamorosa rottura rimescola tutte le carte. Da Ronaldo che è mandato via dopo aver posto ultimatum sul tecnico Cuper, riedizione della famosa frase di Van Basten su Sacchi (“o lui, o me”), a Del Piero che una volta capito che la società non è interessata a rinnovargli il contratto scrive una lettera aperta ai tifosi in cui si dice pronto a firmarne uno in bianco, le bandiere faticano ad ammainarsi da sole. Ora vedremo chi si darà da fare per scrivere il futuro. L’importante è che venti anni di amore non siano cancellati da una discesa dalle scale goffa e malinconica come quella, indimenticabile nella sua tristezza, di Gloria Swanson nel Viale del Tramonto di Billy Wilder.

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