Spiegare ai figli che otto kamikaze hanno sparato a caso sulla folla. Che sono entrati nei bar e in una sala per i concerti e che lo hanno fatto in nome della religione. Poi spiegarlo a se stessi, guardandosi allo specchio la mattina. Centinaia di persone, famiglie, mamme e bambini, affollano il municipio dell’XIesimo arrondisement di Parigi per chiedere un sostegno a psichiatri e psicologi messi a disposizione dal servizio sanitario. Poco distante, nella sede della prefecture, viene fatto lo stesso per la polizia: le forze dell’ordine di servizio nel quartiere e che nel giro di pochi mesi hanno dovuto affrontare due attentati e che non sono riusciti, per due volte, a impedire la carneficina. Li chiamano i “poliziotti maledetti” e sono quelli che a microfoni spenti dicono di essere sconvolti.

“Le persone vengono a chiederci una mano perché quello che hanno vissuto gli sembra impossibile da gestire”. Eric Cheucle viene da Lione ed è uno psichiatra del servizio sanitario nazionale. E’ arrivato a Parigi poche ore dopo gli attentati che hanno sconvolto la capitale il 13 novembre scorso. Il presidio per l’aiuto piscologico oltre al francese offre aiuto in inglese, spagnolo, tedesco e italiano. “Vengono qui testimoni, sopravvissuti, ma anche normali cittadini che devono affrontare la vita di ogni giorno. Si tratta di una situazione eccezionale: durante gli attentati di Charlie Hebdo erano stati colpiti giornalisti, persone esposte per il loro lavoro, questa volta è diverso. E’ difficile riuscire a capire il senso di queste morti scelte a caso”. Un’assistenza a parte viene fatta per le forze dell’ordine: “Per loro ci sono specialisti ad hoc”, spiega. “Hanno dovuto affrontare scene di guerra a cui non erano preparati. Almeno non nel centro di Parigi. Sono le persone incaricate di proteggere e invece non sono riuscite nel loro compito”.

La sala d’aspetto è stata allestita nei corridoi del municipio. I punti di ascolto sono in quella che viene chiamata “salle des fetes”, il salone per i ricevimenti ufficiali e la stanza dove di solito la comunità del quartiere festeggia le ricorrenze ufficiali. Oggi c’è solo una fila lunga di sedie e caffè offerto dai volontari. A un certo punto si sente sbattere una porta, tutti si guardano e corrono nel primo ufficio a disposizione. Ma è solo l’ennesimo falso allarme. “Siamo stanchi”, spiega una mamma. “Ma ancora una volta riusciremo a risollevarci. Siamo qui per chiedere come fare. Io ho bisogno di capire come dirlo ai miei figli. Ho una bimba di 11 anni che mi chiede ‘chi mi protegge adesso?’ Io non so cosa risponderle”. Un ragazzo fissa il pavimento davanti a sé: “Forse prima si poteva ancora dire qualcosa, adesso non ho nemmeno le parole per raccontare a me stesso cos’è successo”.

Le immagini di quella notte continuano a girare in testa e quello è il primo problema. “Noi spieghiamo a chi viene qui che bisogna cercare di riprendere il controllo delle emozioni”, continua Cheucle. “Li facciamo parlare e rimettiamo ordine negli avvenimenti, così da razionalizzare la sequenza degli attentati. I fantasmi vanno ripresi in mano e non rifiutati”. Molte famiglie si presentano direttamente con i figli e chiedono che siano ascoltati uno a uno. “Consigliamo ai genitori di spiegare tutte le immagini che i loro bimbi vedono in tv o che hanno visto come testimoni. E’ importante non lasciare quei flash senza spiegazioni: sono eventi drammatici, ma vanno spiegati ai più piccoli. Hanno una sensibilità molto elevata e non possono restare senza l’aiuto dei genitori a razionalizzare la morte”.

Secondo Cheucle anche alla collettività servirà molto tempo per riuscire a gestire il dramma. “Le scene di panico purtroppo sono normali”, conclude lo psichiatra. “E’ importante che la comunità continui a ritrovarsi e che possa organizzare eventi che facciano sentire le persone meno sole. E’ necessario che tutti si possano raccontare quello che è successo, per prendere la giusta distanza dal dolore”. A un certo punto si sente sbattere una porta, le persone in coda si guardano ed entrano negli uffici. “Un altro falso allarme”, chiude Cheucle. “Prima o poi passerà anche la paura”.

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