Sono bastate due favole, etichettate con la parole “gender”, per far scoppiare un caos all’istituto comprensivo terzo di Massa. Da una parte i genitori di una bambina che hanno ritirato la figlia dalla scuola primaria con tanto di plauso del Vescovo della diocesi di Massa Carrara, monsignor Giovanni Santucci; dall’altra l’ufficio scolastico provinciale e Irene Biemmi la direttrice della collana “Giralangolo” che conosce i due testi incriminati: “Una bambola per Alberto” e “Salverò la principessa”.

Se finora non si era registrata una presa di posizione netta da parte della professoressa Biemmi, che è anche docente del corso di formazione per insegnanti e autore dei laboratori per i ragazzi del progetto “Liber* Tutt*”, a ventiquattr’ore dalla denuncia fatta dall’associazione Pro Vita e dalle dichiarazioni politiche e curiali, la critica non manca: “Questi genitori e il Vescovo non hanno mai letto queste storie. C’è stata una distorsione totale dei contenuti dei libri. E’ l’ennesimo pretesto per bloccare un progetto ben riuscito. E’ stato costruito un caso per nascondere la realtà. Questo progetto è stato proposto dalla Provincia di Massa dallo scorso anno, ha coinvolto migliaia di ragazzi e docenti: la polemica di queste ore occulta tutto il lavoro fatto”.

Irene Biemmi non ha dubbi sulla questione: “C’è stata una mala-interpretazione su un progetto che si basa su presupposti pedagogici che hanno a che fare con l’uguaglianza e la non discriminazione: se qualcuno ha qualcosa da ridire su questo, parliamone. L’educazione sessuale e l’educazione di genere sono due cose diverse. Sono state messe insieme volutamente per creare paura. Insinuare il timore che al proprio figlio a scuola fanno leggere delle favole che spingono i maschi a diventare omosessuali, è un metodo per fare propaganda”. A schierarsi con la mamma che ha portato via la figlia dalla scuola è, invece, l’associazione Pro Vita: “Questo è solo il primo caso – spiega il presidente Toni Brandi – ma diventerà sempre più necessario che i genitori affermino i loro diritti costituzionalmente garantiti riguardo all’educazione dei loro figli, attraverso azioni forti come questa”.

A difendere il progetto, finanziato dalla Regione Toscana e proposto dalla Provincia di Massa, è l’ufficio scolastico provinciale che punta il dito contro i genitori della bambina ritirata: “Quei genitori da qui non sono passati. Ogni scuola – spiegano dall’ufficio di staff del dirigente – ha presentato l’offerta formativa alle famiglie che hanno aderito. Se questo genitore vuole andare a mettere il naso su ciò che si insegna a scuola, allora è finita. La scuola nella piena autonomia ha presentato questo progetto, com’è suo compito. Forse c’erano altri motivi per trasferire quella bambina. La dirigente dell’istituto interverrà ma i genitori sapevano tutto: se non volevano aderire potevano chiedere delle ore alternative. Non era obbligatoria l’adesione a questo laboratorio. Siamo nel 2015, andremo su Marte, son finiti i tempi di dire ai nostri figlioli che nasciamo sotto i cavoli”. Intanto all’istituto Massa Terzo, la preside, Giovanna D’Amico, contattata da ilfattoquotidiano.it, non ha voluto parlare con la stampa ma ha annunciato un comunicato sulla vicenda.

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