Per evasione fiscale si intendono tutte quelle pratiche che violano le norme e i regolamenti, condotte dal contribuente per ridurre o addirittura eliminare il prelievo fiscale da parte dello Stato. I metodi più comuni per evadere il Fisco sono connessi alla vendita di beni o prestazione di servizi senza emissione di fattura o scontrino o attraverso dichiarazione dei redditi mendaci. L’evasione fiscale riguarda essenzialmente l’Iva, seguita dall’Irap e dall’Irpef.

L’evasione comporta effetti economici negativi rilevanti, sotto diversi profili: determina effetti distorsivi sull’allocazione delle risorse, interferisce con il normale funzionamento del mercato ed è sinergica alla corruzione e alla criminalità organizzata.

Da molti anni per questi motivi l’evasione fiscale è diventato un obiettivo costante delle politiche dei governi italiani. Le stime identificano l’ammontare dell’evasione intorno ai 180 miliardi di euro l’anno (fonte: Corte dei Conti da dati Ocse) con connotazioni “trasversali” tra i vari settori dell’economia e del territorio.

L’Istat ci dice che l’economia sommersa varrebbe circa il 17% del Pil. La cosa che stupisce è che la cifra sia più o meno invariata dal 1985, quando la pressione fiscale era pari al 33,6% del Pil, a oggi, con la pressione fiscale al 43,5% del Pil (dati ufficiali), inficiando quindi ogni teoria economica, poiché la propensione all’evasione fiscale in Italia sembrerebbe una variabile indipendente dalla progressione delle aliquote impositive medie. Tutto ciò poiché la stima del sommerso è calcolata in maniera empirica, e fu introdotta dall’Istat nel 1985 anche per migliorare la composizione del Pil italiano e permettere al Paese d’entrare nel G7.

Il Pil italiano, nel 2014, è stato di circa 1542 miliardi di euro, con una pressione fiscale al 43,6% (dato Istat). Questo significa che l’erario ha incassato 671 miliardi di euro circa. Il problema è che questi introiti non andrebbero considerati in rapporto all’intera stima del Pil, bensì solo all’83% di esso, una volta depurato il dato ufficiale dalla stima del valore del sommerso. La pressione fiscale effettiva, quindi, è oltre il 52,5%, valore reale del prelievo. Con questi dati, se il tasso d’evasione fosse zero, l’erario incasserebbe a parità di Pil 810 miliardi di euro, con un incremento di 139 miliardi. I quali permetterebbero di tagliare le imposte o di diminuire lo stock di debito pubblico di circa il 6%.

Possiamo però pensare che quel 17% esista veramente? Ovvero, uno Stato che intermedia più della metà della ricchezza d’un Paese può avere un’economia sommersa così rilevante?

E’ indubbiamente improbabile che un sistema come quello italiano, dove le imposte sui redditi valgono appena il 13% del Pil circa, possa avere un danno così ingente dalle cifre eluse o nascoste al Fisco. Vista la composizione del gettito, poiché due terzi degli introiti verrebbero da imposte sui consumi, bolli, accise ed altri balzelli l’evasione avrebbe effetto esclusivamente su imposte sul reddito e gettito Iva, non sul resto. Il tesoretto, quindi, risulterebbe decisamente più limitato: probabilmente nell’ordine dei 50 miliardi d’euro, quasi un terzo della cifra calcolata in precedenza.

Come si arriva ai dati sull’evasione pubblicati da Istat e Ministero delle Finanze? Vengono seguiti 50 indicatori statistici di tipo economico, sociale, finanziario, demografico. Incrociandoli tra di loro per ognuna delle 107 province italiane e compattandoli su otto dimensioni si arriva al Dbgeo, la banca dati dell’Agenzia delle Entrate, che viene usata per meglio orientare i controlli antievasione.

Con Dbgeo si possono scoprire molte cose, partendo dal generale e arrivando al particolare, al dettaglio provinciale e perfino cittadino. Per ora l’Agenzia ha fatto una prima aggregazione in otto gruppi omogenei e su questa base ha costruito una mappa dell’Italia a colori e una tabella di sintesi.

Si scopre così che si va da un tasso di evasione minima, pari in media al 10,93%, per il gruppo che comprende le province dei grandi centri produttivi – Milano, Torino, Genova, Roma, Lecco, Cremona, Brescia – a uno massimo del 65,67% nel gruppo che contiene le province “difficili” di Caserta e Salerno, di Cosenza e Reggio Calabria e di Messina.

In quest’ultimo gruppo, quindi, caratterizzato anche da alti tassi di criminalità organizzata, disagio sociale, truffe e altre frodi, mediamente su 100 euro d’imposta versata se ne evadono quasi 66. Appena sotto, troviamo, con un tasso d’evasione del 64,47%, l’area che comprende tutte le altre province del Sud (incluse Nuoro, Oristano e Ogliastra in Sardegna), ad eccezione di Bari, Napoli, Catania e Palermo, dove il Tax gap è mediamente inferiore (38,19%).

Tra i «virtuosi», con un tasso d’evasione del 20,31%, troviamo molte province del Nord-Est e dell’Emilia Romagna e le province di Cuneo e di Firenze.

Una sintesi per macroaree di quanto sopra si può fare verificando che il Nord Italia vede il sommerso con un peso inferiore addirittura alla media europea. Nel Mezzogiorno d’Italia il sommerso pesa circa il doppio della media europea rispetto al Pil; considerando che la componente del Pil legata al “Pubblico” è nel Mezzogiorno significativa, è facile comprendere che nell’economia “privata” il sommerso è di dimensione realmente considerevole.

(WORLD SECTION) INDIA-KOLKAYA-DURGA PUJA FESTIVAL

Dalle tabelle allegate si può verificare come i risultati dell’imponente apparato di controllo fiscale italiano, porti ad incassi pari a 13,1 mld di euro nel 2013 e 14,2 mld nel 2014, assimilabili a circa il 10% della somma (stimata) di evasione fiscale annua.

(WORLD SECTION) INDIA-KOLKAYA-DURGA PUJA FESTIVAL

La maggior parte del sommerso, secondo le statistiche citate, arriva dai lavoratori autonomi, tra i quali il tasso di evasione è pari al 56,3 per cento. Per lavoratori dipendenti e pensionati evadere è pressoché impossibile: le tasse vengono prelevate direttamente in busta e dunque non riescono a frodare il Fisco (e, infatti, l’82% del gettito complessivo arriva proprio da loro).

Riccardo Pizzorno per @SpazioEconomia 

Articolo Precedente

Cibo italiano nel mondo: una nuova strategia

next
Articolo Successivo

Turismo, ‘Parador’ a chi? Parte seconda

next