Ora è ufficiale: per compensare il mancato gettito di Tasi e Imu sulla prima casa, che ha promesso di eliminare, Matteo Renzi intende aumentare il disavanzo dei conti pubblici. E’ stato lo stesso premier ad annunciarlo: intervistato dal Corriere, il segretario del Pd afferma infatti che per tagliare le tasse “cercheremo di usare parte” della flessibilità sui conti pubblici concessa da Bruxelles. Flessibilità che secondo Renzi vale l’1% del pil, pari a “circa 17 miliardi di euro”. Peccato che quegli spazi di manovra siano in gran parte ancora oggetto di negoziazione con la Commissione Ue. Non solo: la decisione di sfruttare in modo così disinvolto la leva del deficit, come i governi erano soliti fare ai tempi della Prima Repubblica, lo mette in diretta rotta di collisione con il ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan, che pochi giorni fa dal palco del Meeting di Rimini ha avvertito che per essere credibile “il taglio delle tasse deve venire da un taglio di spesa e “serve un orizzonte medio lungo“.

No secco, dunque, al finanziamento in deficit di oltre metà delle spese che saranno previste dalla prossima legge di Stabilità, compresa appunto la copertura dei mancati introiti fiscali. Un ammanco che peserà sui conti pubblici per circa 4,3 miliardi, sui 25-30 complessivi della manovra per il 2016 che il governo deve presentare entro metà ottobre. Mentre dal taglio delle uscite dello Stato, stando al piano a cui sta lavorando il nuovo commissario alla spending review Yoram Gutgeld, dovrebbero arrivarne circa 10.

Peraltro la posizione di Padoan è supportata in pieno da Carlo Cottarelli, predecessore di Gutgeld e oggi direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale. Che, in un’intervista a La Stampa, di fatto boccia la strategia individuata da Palazzo Chigi: ridurre le tasse aumentando il deficit, spiega Cottarelli, è inefficace. Perché “gli investitori non credono alla possibilità che quella riduzione fiscale sia permanente, soprattutto se il debito pubblico è elevato. Risultato: prima o poi la pressione fiscale risale”. Al contrario, “perché l’azione di riduzione delle tasse sia credibile la quota finanziata da tagli alla spesa deve essere prevalente”. E “l’Italia, che ha sempre un debito molto alto, deve essere particolarmente attenta a quel che fa”. Concetti che Cottarelli ha ripetuto in tutte le salse durante il periodo trascorso a Roma nelle vesti di commissario alla revisione della spesa, incarico che non a caso ha lasciato un anno fa dopo essere stato “accompagnato all’uscita” da Renzi.

Per di più va sottolineato che i margini di flessibilità su cui Roma ad oggi può effettivamente contare ammontano solo ai 6,4 miliardi già indicati nel Documento di economia e finanza come effetto della “clausola delle riforme“, che si applica ai Paesi che mettono in campo riforme strutturali come quella del mercato del lavoro. Renzi ne dà per acquisiti 10 in più, che intende strappare invocando anche la “clausola degli investimenti” e rinviando di un altro anno, al 2018, il pareggio di bilancio. Ma su tutti questi punti i negoziati per indurre l’esecutivo Ue a dare il suo placet sono tutt’altro che finiti. La partita si giocherà tutta nel prossimo mese e mezzo. Sempre che, prima di tutto, gli inquilini di Palazzo Chigi e via XX Settembre riescano a mettersi d’accordo tra loro.

 

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