Oltre l’80% degli 82-86 miliardi di nuovi aiuti alla Grecia sarà destinato al saldo o al rifinanziamento del debito pregresso (53%) e alla ricapitalizzazione delle banche (30%), mentre al governo resteranno da gestire solo 10 miliardi e gli investimenti per il rilancio dell’economia saranno ipotecati al buon esito delle cosiddette privatizzazioni. Con dei paletti molto stretti. Restano i tempi talmente da record da rendere estremamente ardua l’approvazione delle riforme, ma anche il “pignoramento” dei beni pubblici da vendere per ridurre i debiti e il ritorno della Troika ad Atene. Il tutto condito da un colpo di spugna sulla legislazione introdotta dall’esecutivo greco in contrasto con il memorandum con i creditori. Scompaiono, anche perché illegali, solo la sede estera del trust a cui verranno affidati i beni pubblici ellenici “pignorati” e la minaccia di espulsione dall’euro. Inutile a dirsi, infine, che di taglio del debito non c’è neanche da parlarne.

Insomma, non solo Alexis Tsipras non ha abbandonato il vertice con i leader politici della zona euro come gli chiedeva domenica notte il popolo di twitter cinguettando a squarciagola #TspirasLeaveEUSummit (Tsipras abbandona l’Eurosummit), ma ha anche firmato un’intesa che si discosta molto poco dalla criticatissima proposta originaria dell’Eurogruppo.  La stessa, cioè, che nella notte tra domenica e lunedì aveva fatto parlare Atene di condizioni “umilianti e disastrose” e che il premio Nobel per l’Economia, Paul Krugman, dalle colonne del New York Times ha attribuito a una “follia vendicativa”, evocando una “completa distruzione della sovranità nazionale” e un “grottesco tradimento di tutto quello che significa il progetto europeo”. Impossibile sapere se a guidargli la mano sia stata la disperazione o il waterboarding mentale di cui il Guardian accusa Tusk, Merkel e Hollande, ma è innegabile che il premier greco sia entrato al vertice dicendosi pronto per un “compromesso onesto” e ne sia uscito compromesso.

PRIMA LE RIFORME POI I NEGOZIATI SUL PIANO DI AIUTI – I punti dell’accordo dell’accordo approvato all’unanimità dai leader politici della zona euro lunedì mattina a valle di un Eurosummit dalla durata record di oltre 17 ore, del resto, parlano chiaro. Per poter avviare un negoziato sul terzo piano triennale di finanziamenti internazionali, questa volta da 82-86 miliardi, Atene ha innanzitutto 48 ore per varare le riforme dell’Iva, delle pensioni e dell’Elstat (l’istituto nazionale di statistica), oltre a introdurre tagli semi-automatici alla spesa in caso di deviazioni dall’obiettivo del surplus primario. “Solo conseguentemente alla implementazione legale delle prime quattro misure su menzionate – recita il documento – così come alla assunzione di tutti gli impegni inclusi in questo documento dal Parlamento greco, verificato dalle istituzioni e dall’Eurogruppo, potrà essere presa la decisione di dare mandato alle istituzioni di negoziare un memorandum di intesa”.

LE BANCHE POSSONO ASPETTARE FINO AL 22 LUGLIO – Nove, invece, i giorni a disposizione per adottare la riforma del codice di procedura civile e recepire la direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive) sul fallimento degli istituti di credito per introdurre il nuovo sistema europeo di salvataggio delle banche, il cosiddetto bail in, che affianca l’intervento esterno (bail out) ad appunto quello interno, cioè il contributo a vario titolo di azionisti e correntisti con depositi al di sopra dei 100mila euro. Questione non da poco, quest’ultima, visto che un intervento sulle banche greche sembra ormai inevitabile, ma senza il recepimento della direttiva sarebbe tecnicamente difficile. E che è stata curiosamente postposta, quando invece sarebbe prioritaria date le condizioni degli istituti ellenici ormai chiusi da due settimane e, secondo i ministri delle finanze della zona euro, bisognosi della disponibilità immediata di una decina di miliardi.

LA RESTAURAZIONE DELLA TROIKA CON LA CANCELLAZIONE DEL NORME IN CONTRASTO –  Tra gli impegni sicuramente più sgraditi ai greci, spicca il ritorno del commissariamento da parte dell’odiata Troika. Quest’ultima non  riavvierà solo le sue ispezioni in loco per “normalizzare pienamente i metodi con le istituzioni, incluso il necessario lavoro sul campo, per migliorare l’implementazione e il monitoraggio del programma”. D’ora in avanti, si legge infatti nel documento, “il governo necessita di consultarsi e accordarsi con le istituzioni (Commissione Ue, Fmi e Bce, appunto, ndr) su tutte le bozze di legge in aree rilevanti, con un anticipo di tempo adeguato, prima di sottoporle alla consultazione pubblica o al Parlamento”.

A scanso di equivoci quella più rilevante è già messa nero su bianco e riguarda il lavoro: la Grecia recita il testo, deve “intraprendere riesami rigorosi e la modernizzazione della contrattazione collettiva, dell’azione industriale e, in linea con la direttiva e le migliori prassi pertinenti dell’Ue, dei licenziamenti collettivi secondo le scadenze e l’approccio convenuti con le istituzioni”. Il passato, invece, va scordato. Anzi, cancellato: “Fatta salva la legge sulla crisi umanitaria, il governo greco riesaminerà, per modificarla, la legislazione introdotta in contrasto con l’accordo del 20 febbraio retrocedendo dagli impegni del precedente programma, o individuerà chiare misure di compensazione equivalenti per i diritti acquisiti creati successivamente”.

In questo contesto, altro punto ad alto sgradimento ellenico, resta confermato il ruolo centrale del Fondo Monetario Internazionale. “Lo Stato membro della zona euro che richiederà l’assistenza finanziaria dell’Esm rivolgerà, ove possibile, richiesta analoga al Fmi. Questa è una condizione necessaria affinché l’Eurogruppo approvi un nuovo programma Esm. Pertanto la Grecia richiederà il sostegno continuo dell’Fmi (monitoraggio e finanziamento) a partire da marzo 2016″.

ALLE NECESSITA’ DEL GOVERNO SOLO 10 MILIARDI SU 80. LE GARANZIE TRA PEGNO E PIGNORAMENTO – Gli 82-86 miliardi che, se i negoziati veri e propri andranno a buon fine, verranno stanziati dal nuovo fondo salva stati Esm, saranno spalmati su tre anni. I primi 12 dovranno essere messi a disposizione della Grecia subito, con un prestito ponte il cui quadro tecnico-giuridico è ancora tutto da definire e sta già causando grattacapi all’Eurogruppo (“Ancora non abbiamo trovato la chiave”, ha ammesso in serata Jeroen Dijsselbloem). In ogni caso l’idea è che 7 miliardi vengano erogati entro il 20 luglio (quando scadranno obbligazioni in pancia alla Bce per 3,5 miliardi) e altri 5 entro metà agosto (quando ne scadranno altri 3,2 miliardi). Considerando anche la rata già scaduta di 1,6 miliardi dovuti al Fondo Monetario e quella di 450 milioni in scadenza martedì, in pratica più di due terzi dell’ammontare del prestito ponte serviranno a ripagare il debito pregresso. Complessivamente, del resto, oltre la metà dei fondi stanziabili con il nuovo piano servirà a rifinanziare i 46 miliardi di vecchi debiti della Grecia con Fmi e Bce.

Altri 25 miliardi, invece, sono destinati alla ricapitalizzazione delle banche. E saranno garantiti con il discusso fondo ad hoc con sede ad Atene, unica concessione rispetto alla richiesta iniziale di aprirlo in Lussemburgo, mentre resta la gestione da parte delle “autorità greche sotto la supervisione delle competenti istituzioni europee”. Qui verranno conferiti i beni pubblici greci da vendere. L’obiettivo piuttosto impervio dell’inedita creatura che assomiglia più a un pignoramento che a un pegno, sarà raggiungere quota 50 miliardi, somma pari al 25% del Pil greco. Una volta superata la soglia dei 25 miliardi necessari per gli istituti, il resto andrà impiegato per metà in abbattimento del debito e per metà in investimenti. In sostanza, per ottenere la possibilità di impiegare un miliardo di euro in investimenti, la Grecia dovrà cedere 27 miliardi di asset pubblici: i primi 25 andranno alle banche, un miliardo andrà all’abbattimento del debito pregresso e un altro miliardo andrà finalmente in investimenti.

A disposizione delle necessità del governo, quindi, resterà soltanto una decina di miliardi su 80. Ma tanto è bastato per far affermare a Tsipras, che pure nella notte si sarebbe tolto la giacca invitando i leader dell’Eurozona a prendersi anche quella, di aver “evitato il piano per uno strangolamento finanziario e per il collasso del sistema bancario” e aver ottenuto “finanziamenti a medio termine”. Nonostante le premesse sulla gestione del fondo e sulla destinazione del denaro, il premier greco ha inoltre rivendicato di aver “evitato il trasferimento dei nostri beni all’estero” e “ottenuto l’alleggerimento del debito”, per altro subordinato al via libera a riforme ritenute soddisfacenti dai creditori. “Abbiamo lottato duro” a Bruxelles ora lo faremo in Grecia contro “gli interessi” consolidati, ha chiosato mentre ministro dell’Energia e leader dell’ala radicale di Syriza, Panagiotis Lafazaris, definiva l’accordo “umiliante“.

 

 

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