Il Cardinale Angelo Bagnasco ha il diritto di pensare quello che meglio crede. Qualcuno però dovrebbe spiegargli che gli studi di genere non sono una ‘teoria del complotto’ contro qualcosa o qualcuno ma molto più semplicemente il risultato di un incrocio di metodologie differenti che hanno come obiettivo il chiedersi quali sono le dimensioni che costituiscono il sistema identitario di un individuo, come stanno in rapporto alla società e alla cultura.

Gli studi di genere spesso parlano di diritti universalistici e di categorie umane discriminate. Valori che una Chiesa interprete del messaggio di Cristo dovrebbe tradurre in pratica senza alcuna riserva. Prima ancora dell’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti) ci avevano pensato dalle parti del Cardinale “Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questo” (Mc 12,29-31).

Quindi leggere che “il gender edifica un ‘transumanoin cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità” (persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto) deve farci riflettere se davvero è frase di Angelo Bagnasco a dirlo: il capo di una Conferenza Episcopale che continuamente si chiede quale sia il senso di tali studi tanto da chiedere in passato al governo Renzi di mettere al bando i libri di testo (pagati con Fondi Unar – Dipartimento per le Pari Opportunità) per le elementari e le medie che trattano il tema di genere educando alla diversità.

Questi studi sono invece molto importanti specie in Italia, laddove il contesto sociale e culturale è caratterizzato da una considerevole rigidità nei ruoli e nei comportamenti di genere (appunto). Che spesso sfociano in violenza di genere partendo da atteggiamenti tradizionalmente ancorati a un modello patriarcale. Per esempio nella letteratura scientifica si sta studiando sempre di più il fenomeno del bullismo omofobico in quanto diretto a quei compagni, siano essi di genere maschile o femminile, che sono percepiti come devianti in termini di identità di genere perché con atteggiamenti che si allontanano da quelli tipicamente percepiti come maschili o femminili.

Quindi non sarebbe necessario essere omosessuali per divenire bersaglio del bullismo omofobico. Allo stesso modo l’attaccamento ai modelli maschili ‘virili’ tradizionali può tradursi in aggressioni fisiche, verbali e sessuali nei confronti delle donne (114 femminicidi nel 2013), soprattutto all’interno della famiglia. Secondo i dati Istat del 2014, in Italia una donna su tre – tra i 16 e i 70 anni – è stata vittima nella sua vita dell’aggressività di un uomo, per un totale di quasi 7 milioni di persone. Queste condotte hanno anche una forte ricaduta psicologica sulla condotta dei bambini che, talvolta, diventati adolescenti, assumono a loro volta atteggiamenti aggressivi nei confronti dei coetanei o dei più piccoli (bullismo).

Da una ricerca svolta da Telefono Azzurro all’interno del progetto europeo ‘E-Abc – Antibullying Campaign‘ su un campione di 5.000 adolescenti italiani, è emerso che 1 su 5 è vittima di bullismo, soprattutto tra le pareti scolastiche, dove un ragazzo su due dice di aver assistito a episodi di bullismo, il 15% di esserne stato vittima, mentre il 16% ammette di essere un bullo. Tra le vittime di bullismo, si tratta per il 40,5% di studenti con genitori che abusano di alcol e per il 31% di giovani che convivono con familiari che in casa risolvono i conflitti con la violenza. Tra i bulli, il 44.2% è vittima di violenza familiare.

Come Presidente della Ong Soleterre sono convinto che i progetti che come associazione realizziamo per prevenire la violenza nei confronti di donne, bambini e Lgbti e che trattano il tema di genere siano un aspetto imprescindibile del progresso e dello sviluppo in tema di riconoscimento dei diritti umani. Viene da pensare se è vero che secondo il Cardinale le Ong farebbero parte di  una ‘governance mondiale’ di inventori e manipolatori.

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