Quanto potranno ancora resistere gli eroici difensori di Kobané? Si prospetta un massacro annunciato che costituirà l’ennesima ignominia a carico della comunità internazionale e di alcuni Stati in particolare. Anche se non bisogna dare credito alla guerra psicologica, portata avanti ad esempio da Al Jazeera, secondo cui si annuncia in continuazione la caduta della città.

Non ci vengano a dire che non c’è modo di fermare i fascisti pseudoislamici dell’Isis. Perché dopo qualche bombardamento le forze statunitensi hanno desistito, pur avendo inferto qualche colpo agli assedianti? Perché le ingenti forze turche presenti nei pressi si guardano bene dall’intervenire per evitare la strage?

La risposta è chiara: si vuole che sia soppressa nel sangue un’esperienza democratica e multietnica come quella della Rojavà, regione del territorio siriano abitata da Kurdi. Gli Stati reazionari della zona che hanno fatto nascere e poi sostenuto l’Isis con denaro ed armi (Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Emirati) temono che il contagio democratico proveniente da questa regione si estenda ai loro dispotici regimi.

Le milizie kurde, femminili e maschili, dell’YPG combattono casa per casa con grande coraggio, ma non dispongono di idonee armi anticarro per fermare i panzer o per bloccare i bombardamenti dell’artiglieria di cui i terroristi vestiti di nero si sono dotati acquistandoli o sottraendoli all’esercito irakeno in fuga.

Gli Stati Uniti fanno ammuina. Quando hanno voluto, come in Libia, hanno polverizzato in pochi minuti la colonna corazzata di Gheddafi che si dirigeva verso Misurata. Qui colpiscono di malavoglia e lontano dal fronte.
Basterebbero una decina di colpi ben assestati per liquidare gli sgherri del Califfo, che pure in teoria è il nemico pubblico numero uno dell’Occidente. Perché ciò non avviene? Evidentemente perché gli Stati Uniti, nel complesso gioco politico e militare che riguarda la vasta area medio-orientale, non vogliono contrariare più di tanto i propri storici alleati, che vogliono a tutti i costi che Kobané sia massacrata per dare un esempio.

Anche lasciando da parte le evidenti responsabilità storiche degli Stati Uniti nella nascita dell’Isis (vedi qui un intervento di Noam Chomsky al riguardo), si tratta qui di responsabilità dirette ed immediate, omissione di soccorso da parte di chi avrebbe tutti i mezzi per impedire il genocidio.

Come afferma l’inviato delle Nazioni Unite, Staffan De Mistura, si prospetta l’eventualità di una nuova Srebrenica. Fra qualche anno, magari, ne celebreremo più o meno ipocritamente l’anniversario. Oggi ci si guarda bene dall’intervenire, nonostante gli appelli indirizzati dallo stesso De Mistura.

Le responsabilità maggiori, equivalenti a veri e propri crimini di guerra e contro l’umanità, spettano peraltro in questa situazione a un altro membro della Nato, la Turchia dell’autocrate Erdogan. I tank schierati a Nord di Kobané servono solo per impedire ai combattenti kurdi del PKK di dar manforte agli assediati. Erdogan tiene fermi i Kurdi mentre i suoi alleati dell’Isis si apprestano a sgozzare donne e bambini.

Vi è quindi una diretta corresponsabilità della Turchia nel massacro che si delinea. Nel frattempo le forze repressive interne turche hanno ucciso in pochi giorni ben 31 manifestanti kurdi, nuova tappa di un genocidio che dura oramai da quasi un secolo e che i governi turchi si ostinano a perpetrare nonostante le offerte di pace e negoziato provenienti dalle forze kurde.

Il messaggio che si vuole impedire giunga dal Rojavà (termine kurdo che significa “Occidente”) riguarda essenzialmente tre aspetti:

1. L’importanza dell’autogestione democratica in atto, contro ogni etnocentrismo e fondamentalismo religioso.
2. L’importanza della liberazione della donna, non più relegata nelle sue mansioni di casalinga e schiava, a scopo sessuale o altro.
3. l’importanza del superamento del modello obsoleto dello Stato-nazione, verso un modello di confederalismo democratico.

Questo triplice messaggio ha grande importanza per il Medio Oriente e tutto il pianeta. Per questo gli Stati reazionari dell’area (Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Emirati) hanno urgente interesse a che l’esperienza del Rojava sia al più presto soffocata nel sangue. Tale interesse è condiviso anche dalle potenze imperialiste, Stati Uniti in primo luogo. Del resto la vendita delle donne sul mercato (salvo le più belle destinate direttamente ai loro capi) che l’ISIS ha posto in atto nelle zone occupate, pare conforme ai dettami del capitalismo liberista più puro.

Ecco perché gli Stati Uniti non intervengono anche se in poche ore potrebbero liquidare l’Isis e salvare gli assediati a Kobané. Ma occorre continuare a chiedere un deciso intervento aereo che colpisca gli assedianti e sostenere la resistenza di Kobané, fino alla vittoria.

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