Silvio Berlusconi frena sulla proposta di riforma del Senato: “Così com’è è inaccettabile”. Ma il premier Matteo Renzi risponde a stretto giro: “A me basta che palazzo Madama non costi più un centesimo, non sia eletto, non dia la fiducia, non voti il bilancio. Sul resto si può discutere”. Il presidente del Consiglio, dalle colonne del Quotidiano Nazionale, ammette che gli ostacoli che troverà sul cammino delle riforme saranno tanti, e non verranno solo dall’esterno, ma anche dallo stesso Pd. Cosa accadrebbe se i senatori democratici non dovessero votare la riforma di palazzo Madama? “Non amo i diktat – precisa il premier – ma sono sicuro che tutti gli eletti del Pd si attesteranno sulle posizioni scelte dai nostri elettori e dai nostri organismi”.

Il ddl approvato dal Consiglio dei ministri prevede il nuovo Senato delle Autonomie, un’organo che non potrà votare la fiducia all’esecutivo, né il bilancio. Sarà composto da 148 membri, da Regioni e Comuni, più 21 rappresentanti nominati dal Colle. “Non mi sfugge che tra burocrati e politici ci sia un sacco di gente che sta facendo il tifo perché il governo fallisca – sottolinea Renzi – Ma resteranno delusi”. Perché “nei decenni, toppi politici si sono arresi scaricando su altri la responsabilità dei loro fallimenti, io non lo farò”, promette.

Ma quello del Senato è solo una tappa, da raggiungere in fretta. Il passo successivo sarà lo “sforbicia-Italia“: un elenco “di organismi inutili da cancellare subito”, annuncia il premier. Ma le sforbiciate – secondo Renzi – colpiranno anche gli organismi costituzionali. “Le sembra logico – risponde nell’intervista al Quotidiano Nazionale – che lo stipendio del segretario di palazzo Madama sia pari a quattro volte quello del presidente del Consiglio? Non c’è solo il Senato – avverte – ma non faremo sconti”. Per il momento è invece rimandata la discussione sull’elezione diretta del capo dello Stato: “Il tema è serio, ma abbiamo già messo fin troppa carne al fuoco”. 

Il lavoro è l’altro tema prioritario nel programma di governo. Dopo l’apertura del viceministro all’Economia Enrico Morando sul salario minimo, il premier torna sul ddl lavoro e conferma che il governo sta discutendo, non solo sui contratti a tutele crescenti, ma anche sull’assegno di dispoccupazione universale. “Ovviamente bisognerà armonizzare i singoli provvedimenti in una riforma organica”. Poi il premier lancia un avvertimento ai suoi: “Bisogna che la sinistra cambi posizione. Di fronte a picchi raggiunti dalla disoccupazione, non possiamo continuare a dire che siamo il paritto dei lavoratori per poi frenare ogni riforma del mercato del lavoro. E’ ora di finirla con troppa ideologia“. E per la prossima settimana il premier annuncia che il Pd organizzerà “un seminario a porte chiuse per discutere di lavoro e uno per discutere di riforme costituzionali. E non si dica che io non discuta”.

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