L’estate non ha fatto bene a Gabriele Del Torchio e l’autunno per lui si presenta anche peggio. Quando arrivò, all’inizio della stagione calda, il nuovo amministratore Alitalia era tutto sorrisi, entusiasmo e fiducia. Ora sembra un altro: sorrisi pochi, perplessità tante, preoccupazioni di più. C’è da capirlo: non immaginava che il diavolo fosse più brutto di come lo dipingevano. Si sta accorgendo che la ex compagnia di bandiera non è una qualsiasi azienda malmessa, di difficile recupero per via degli 850 milioni di perdite in 4 anni, il miliardo circa di debiti a breve, medio e lungo termine e il capitale di nuovo agli sgoccioli. Il peggio è che Alitalia-Belzebù si porta dietro un peccato originale e cioè di essere stata affidata 5 anni fa da Silvio Berlusconi a un caravanserraglio di una ventina di azionisti di solito d’accordo su nulla.

L’amministratore Alitalia ha bruciato l’estate rincorrendo due miraggi: la rinegoziazione dei debiti con le banche e l’individuazione di una compagnia partner che potesse riaprire il cuore alla speranza. Ma mentre sul primo punto gli azionisti hanno avuto poco da dividersi, sul secondo punto, le alleanze, Del Torchio è come in un frullatore. Sono almeno quattro le fazioni Alitalia. La prima è capitanata da Air France che con il 25 per cento del capitale è l’azionista più azionista di tutti, con al traino una bella fetta di manager della compagnia italiana e una pletora di azionisti minori i quali non vedono l’ora che tutto si compia, cioè che i francesi entrino da padroni, consentendo a loro piccoli di farsi da parte alla chetichella, contenendo i danni con la vendita delle quote. Poi ci sono, o almeno c’erano fino a qualche giorno fa, i filo-Etihad, la compagnia araba di Abu Dhabi, considerata come l’auspicabile cavaliere bianco. Poi i pro Aeroflot e infine gli azionisti fuori gioco a causa delle indagini della magistratura: i Riva, bloccati dalle inchieste sull’Ilva, i Ligresti agli arresti domiciliari e infine Bellavista Caltagirone nei guai per il porto di Fiumicino.

Air France non ha alcuna fretta e gioca al tanto peggio tanto meglio, sicura che prima o poi Alitalia le cadrà nel cesto come una pera matura, consumata dai debiti. Ora i francesi si dicono pronti (lo rivela il giornale francese La Tribune, non smentito) a raddoppiare la quota di possesso dal 25 al 50 per cento. Ma a condizioni che appaiono impossibili, cioè che nel frattempo Alitalia rinegozi il debito, ristrutturi l’azienda e ridisegni le rotte. In sostanza Air France ribadisce il suo interesse per Alitalia, a patto di prenderla ripulita e con un tozzo di pane. Per spezzare questo che considerano il transalpino gioco al massacro al rallentatore, un’altra fazione di Alitalia, a cui lo stesso Del Torchio si era iscritto, ha fatto per tutta l’estate il filo a Etihad. La compagnia araba aveva dimostrato l’intenzione di voler entrare nel mercato europeo e Alitalia sembrava il veicolo adatto. Già ora tra la compagnia degli Emirati e quella italiana c’è una collaborazione avviata, un accordo commerciale per cui i jet italiani trasportano ad Abu Dhabi i viaggiatori che poi proseguono per l’Australia con aerei arabi. Alcune settimane fa Del Torchio e il suo staff sono volati nella capitale araba proprio con l’intenzione di rafforzare l’intesa per poi eventualmente concretizzarla in una partecipazione azionaria. I francesi hanno però reagito stizziti.

All’inizio pare siano addirittura riusciti a fare inviare dal loro governo una nota al governo italiano, mentre ora ribadiscono la loro mano morta su Alitalia facendo balenare la possibilità di un improbabile raddoppio azionario che in sostanza è un modo per mandare un segnale agli arabi, un messaggio che suona più o meno così: l’Alitalia è roba nostra, pazientate un po’ e poi tratterete eventuali accordi con noi. Gli arabi hanno dimostrato di aver capito l’antifona emettendo un comunicato per dire che non pensano ad Alitalia, ma nei loro piani piuttosto c’è l’India. Non è finita perché tra filo francesi e filo arabi si intromettono anche i filo russi, i Benetton che fanno il tifo per Aeroflot da quando hanno sentito dire che come hub del Mediterraneo la compagnia di Mosca punterebbe su Roma, cioè sullo scalo Benetton. Strattonato da tutte le parti, Del Torchio nel consiglio di amministrazione di giovedì 26 cercherà di convincere la maggioranza dei soci a tirare stoicamente avanti sottoscrivendo almeno quei 55 milioni di euro di prestito-ponte non sottoscritti alcuni mesi fa e proverà anche a mettere nel piatto l’ipotesi di un altro aumento di capitale. Nella speranza che, nel frattempo, sulla compagnia cominci a brillare lo stellone d’Italia sotto forma di diminuzione del prezzo del petrolio.

Dal Fatto Quotidiano del 22 settembre 2013 

 

 

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