Iraq, primi mesi del 2004. Nella base militare spagnola di Diwaniya, cinque soldati entrano in una cella. A terra, seduto su una coperta, con due bottiglie d’acqua vicino, c’è un uomo. Uno dei soldati gli ordina di alzarsi, gridando. Più volte. L’uomo, malconcio, non sembra capire. Accanto c’è un altro detenuto che a metà del filmato, viene scaraventato sul primo. Tre soldati cominciano a prendere a calci entrambi. Con violenza. Due osservano dalla porta della cella. Un sesto militare registra la scena.

Dieci anni dopo la Spagna si sveglia con un scandalo in casa. Una possibile Guantanamo. Il video choc, diffuso dal quotidiano El País, non lascia dubbi. E smentisce le parole ripetute per anni dalle alte cariche delle Forze armate iberiche: “Nessun militare spagnolo, nelle missioni svolte all’estero, ha fatto nulla di cui vergognarsi”. Lo dicevano soprattutto dopo le sconvolgenti immagini dei marines statunitensi che urinavano sui cadaveri o dei militari tedeschi che si prendevano gioco dei resti umani in Afghanistan.A Madrid quelle parole convincenti sembrano solo un ricordo. E su quei 40 secondi – tanto dura il filmato – il ministero della Difesa si è affrettato ad aprire un’inchiesta urgente.

Ma sul suo account Twitter, il portavoce della Difesa Diego Mazón ha precisato: “In merito ai militari. 133.498 in missione hanno fatto fede al loro dovere. Quattro probabilmente hanno aggredito due prigionieri. Non generalizziamo”. L’ex ministro degli Esteri del Psoe, Trinidad Jiménez, ha invece tacciato l’incidente come “deplorevole e tragico” per l’immagine delle forze armate, ma è convinta che si tratti di un “caso isolato”.

Le polemiche però sono già esplose. E l’incubo di una guerra profondamente diversa da quella avvenuta in Bosnia o in Afghanistan torna alla luce. Diego López Garrido, portavoce della Difesa per partito socialista, ha ricordato che allora José María Aznar era il presidente e Federico Trillo il ministro della Difesa. Loro “dovrebbero spiegare perché coinvolsero la Spagna in una guerra illegale, illegittima, senza l’avvallo dell’Onu e dell’opinione pubblica spagnola”, ha accusato. Frattanto il portavoce di Izquierda Unida, José Luis Centella, ha annunciato che chiederà, con un’interrogazione urgente, all’attuale ministro della Difesa Pedro Morenés di presentarsi in aula.

Nel settembre 2003, un mese dopo l’arrivo in Iraq della brigata Plus Ultra, con 1.300 spagnoli, i militari ricevettero un documento dall’Intelligence dello Stato maggiore titolato “Procedimento di detenzione e attuazione con il personale detenuto”. Una guida, insomma, che prescriveva l’uso minimo della violenza e il rispetto dei diritti del detenuto. Ma le immagini rese pubbliche a quasi dieci anni di distanza sono tutt’altro che da manuale. In effetti, nel 2005, c’era già stata una denuncia. L’unica in realtà mossa nei confronti del contingente spagnolo. L’iracheno Flayeh Al Mayali, arrestato il 22 marzo 2004 come complice nell’assassinio degli agenti del Centro nazionale d’Intelligenza, dei quali era traduttore, denunciò che nella base spagnola era stato torturato.

Pochi giorni dopo fu trasferito a Baghdad. E quando, a febbraio del 2005, uscì dal carcere di Abu Ghraib libero dalle accuse, disse che, durante l’interrogatorio alla base iberica di Diwaniya, i militari lo incappucciarono, gli legarono le mani dietro la schiena e lo picchiarono. Di notte non lo lasciavano dormire e nel viaggio verso la capitale irachena lo insultarono e lo colpirono ripetutamente coi fucili. “Ricevetti un trattamento disumano, come se fossi un cane”, raccontò al quotidiano spagnolo El Heraldo de Aragón. Ma le denunce di Al Mayali rimasero sospese nel vuoto e il ministero degli Interni proibì all’iracheno di mettere piede in suolo iberico. Forse adesso, con la pubblicazione del video choc, le sue dichiarazioni potrebbero essere prese in esame dalla commissione d’inchiesta.

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