Il confronto Italia-Germania non ha confini. Dopo la doppietta di Balotelli a Varsavia nella semifinale di Euro 2012 e il piano anti spread strappato da Monti a Bruxelles, adesso si litiga sulle autovetture. Nodo del contendere sono i nuovi limiti di emissioni Co2 per le automobili sulle strade europee. A dire il vero sarebbero già dovuti essere pubblicati questa settimana, ma una lotta intestina all’European carmakers’ industry association (ACEA) ne ha posticipato la presentazione: da una parte Bmw e Daimler, dall’altra la Fiat. Anche se l’Italia vanta un alleato: la francese Renault.

Si tratta dei nuovi limiti di emissioni Co2 per km che i costruttori di automobili di tutta Europa dovranno rispettare da qui al 2020. Oggi questo limite è di 140 grammi di Co2 al chilometro, e nelle intenzioni della Commissione europea si sarebbe dovuti arrivare a 95 grammi entro il 2020. A spingere è la Danimarca, che fino all’ultimo giorno del suo semestre di Presidenza di turno dell’Unione (scaduto a fine giugno), ha cercato di portare a segno questo risultato nell’ottica della strategia ambientale EU2020 che si propone, tra le altre cose, di abbattere del 20% le emissioni di Co2 entro il 2020 e rispetto ai valori del 1990 (un risparmio, secondo la Commissione, di 368 milioni di tonnellate di petrolio). D’altronde l’agenzia europea dell’ambiente con sede a Copenaghen è stata chiara: i traffico su gomma è causa di un quinto delle Co2 di tutto il continente.

Ma l’impressionante lobby dei costruttori tedeschi esercitata negli ultimi giorni ha messo tutto in stand-by. Si perché il nuovo target fissato da Bruxelles, avrebbe presumibilmente punito maggiormente i costruttori di veicoli pesanti, come la Bmw e la Daimler, a vantaggio di automobili più leggere (e quindi con consumi inferiori) come Fiat e Renault. Chi c’è stato, parla di nervi a fior di pelle all’ultimo meeting dell’ACEA dove è stato impossibile trovare un accordo sulla proposta della Commissione. I tedeschi accusano Bruxelles di voler fare un regalo all’industria franco-italiana e di non tenere in giusta considerazione gli sforzi fatti dalla Bmw prima del 2009 (anno dal quale la Commissione calcola la riduzione di emissioni obbligatoria). Da qui la richiesta di rivedere non solo il limite assoluto dei 95g/km, ma anche il metodo di calcolo di tale target.

Opposta la posizione degli italiani. Secondo Roberto Vavassori, la proposta alternativa tedesca costituirebbe “uno sbilanciamento che tende a favorire solo un Paese”. A fare i calcoli di chi ci guadagna e chi ci perde c’ha pensato Greenpeace. Secondo l’associazione ambientalista, con la proposta di Berlino i costruttori tedeschi dovrebbero ridurre le emissioni per km del 30 invece che del 32%, mentre quelli italiani e francesi del 33 invece che del 32%. Si tratta di piccole differenze che tradotte su larga scala vogliono dire investimenti per milioni di euro. “E queste sono compagnie che pretendono di essere dei leader ambientali”, attacca Franziska Achterberg, esperta trasporti di Greenpeace. Il fatto è che non tutti sono d’accordo sul fondo della strategia EU2020. Secondo la Achterberg, ci sono costruttori apertamente in favore (Volvo), altri che non osano dirlo pubblicamente (Renault e Ford) e altri ancora apertamente contro (VolksWagen). Inutile dirlo, ma i motivi sono tutti economici.

Eppure, come dice Jean-Marc Gales, chief executive dell’European Association of Automotive Suppliers CLEPA (quindi non un intransigente militante ambientalista), “in un’industria matura per rimanere competitivi bisogna spendere di più”. Secondo Gales, infatti, il vantaggio di avere automobili meno inquinanti oltre che all’ambiente farebbe bene anche alle tasche del consumatore, che a fronte di una spesa media di 1000 euro in più per l’acquisto di un’auto, potrebbe risparmiare circa 500 euro in carburante all’anno. Ma per queste cose, ci vuole lungimiranza.

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