Ha fatto molto discutere la sentenza del giudice del Tribunale dei Minori di Trieste. E se ne discuterà ancora. La bambina di quattro anni è stata affidata, come prevede la legge, in modo condiviso a entrambi i genitori. Fin qui nulla di strano, ma l’originalità della sentenza sta nel fatto che la bambina non è stata “collocata” presso l’abitazione di uno dei due genitori ( solitamente la madre) ma “presso l’abitazione di proprietà di famiglia“, cioè lei non si muove da casa e tocca ai genitori alternarsi nell’accudimento. Tradotto pragmaticamente una settimana la piccola sta con il papà e una settimana con la mamma. Entrambi, per par condicio, svolgeranno funzione di genitore “collocatario”.

Applaudo questa sentenza come “padre”, perché è giusto che nelle separazioni non siano sempre loro i soli a essere penalizzati, a lasciare la casa, a pagare gli alimenti ( magari riducendosi in miseria) e accontentarsi di vedere i figli una volta la settimana.

Applaudo questa sentenza come madre. Anche io sono separata da tre anni, i bambini avevano 10 e 8 anni. Io e il padre dei miei figli non ci siamo fatti la guerra (anche se confesso qualche volta ho dovuto sopprimere la tentazione di scaraventare per terra il servizio buono di piatti. Andranno ai miei figli, ho pensato, dopo, in un momento di più sano giudizio). Abbiamo risparmiato parcelle salatissime di avvocati, esperti di diritto di famiglia (sapientoni da 300 a 400 euro all’ora per consulenze legali). Senza che ce lo ordinasse il giudice abbiamo optato per l’affidamento congiunto. Ai bambini è rimasta la casa, a noi la piccola scomodità di dover una volta alla settimana fare le valigie. E nelle varie regolamentazione ci siamo pure divisi le mansioni di accompagnamento: il papà li porta la mattina a scuola, io vado a riprenderli. Così tutti e due li vediamo tutti i giorni.

Il risultato mi è balzato agli occhi qualche mese fa. Quando la maestra ha assegnato a mio figlio grande, Kamalei, il compito sulla “struttura sociale della famiglia”, lui ha scritto: “Vivo con mamma, papà, mia sorella e un cane”. Nella sua testa è come se non fosse avvenuta la separazione.

E la mia socia Marika, separata, ricorda ancora la supplica di suo figlio Dario: “Mamma, cambiami tutto, ma non cambiarmi la casa” . E Marika eseguì. Perché la casa, proprio nell’immaginario dei figli di genitori divorziati rimane un saldo punto di riferimento.

Senza scivolare in sterili auto/elogi, ma quando si tratta dei figli, che per noi donne del sud sono piezze ‘e core, bisogna mettere da parte antichi rancori, meschinità ed egoismi. Non ci devono essere né vinti, né vincitori.  Loro, soltanto loro, i figli sono le nostre priorità. Non dimentichiamocelo mai. La strada di genitori non si interrompe con il divorzio, ma continua per altre vie…
Perché, anche da genitori non-più-insieme, possiamo continuare a trasmettergli il senso di famiglia. E di questo ce ne saranno riconoscenti a vita.

di Januaria Piromallo

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