Tutto è cominciato con un messaggio di Flavio Lotti il 10 febbraio scorso che invitava il pacifismo italiano ad aderire a una manifestazione, domenica 19 febbraio a Roma, indetta dalla sezione italiana del Consiglio Nazionale Siriano (Cns), importante gruppo – forse il più noto – dell’opposizione al regime di Assad. Lotti, coordinatore della Tavola della pace, spiegava che la situazione è circondata da un’informazione che spesso diventa “strumento di guerra” ma che se “abbiamo bisogno di capire, riflettere, discutere” è anche necessario “agire”. Alla manifestazione hanno aderito i gruppi più importanti del movimento: Libera, Articolo21, Cgil, Arci, Acli, Beati, Terra del Fuoco e molti altri.

Nelle stesse ore, una sessantina di associazioni non meno pacifiste, capeggiate da Peacelink, una delle più antiche formazioni arcobaleno italiane, diffondeva un Appello nel quale, citando “una crescente campagna mediatica spesso basata su resoconti parziali e non verificabili”, chiedeva all’Onu di “agire immediatamente per fermare ogni tentativo di intervento militare straniero contro la Siria e di favorire una vera mediazione”. Apparentemente le cose non sembrano in contraddizione ma solo qualche giorno dopo i distinguo sono venuti alla luce.

Con una “Lettera aperta sul 19 febbraio” una decina di associazioni e reti (tra cui Peacelink ovviamente ma anche Ong importanti come “Un ponte per”) si sono dissociate “nettamente dalla manifestazione indetta dal Cns” non potendo “condividere le ragioni di quanti aderiscono a quella piattaforma”. Il motivo è il rifiuto del rischio di “un’altra guerra ‘umanitaria’ che, come in Libia, sotto la pretesa di proteggere i civili ha scatenato invece la ferocia dei bombardamenti”. I firmatari ritengono poi che il contestatissimo veto di Russia e Cina alla risoluzione Onu del 4 febbraio abbia scongiurato questa “minaccia”. Spaccatura insomma: gli uni per evitare di essere al solito accusati di stare zitti (“Dove sono i pacifisti”? E’ il refrain di chi li detesta), gli altri per il timore che un eccesso di pressione finisca a tradursi in un ennesimo conflitto.

Sul banco degli imputati c’è il Cns il cui rappresentante per l’Italia, Dachan Mohamed Nour, ribattte sul sito della Tavola che: “La manifestazione di Roma ha un unico scopo: fermare le violenze del regime e salvare la popolazione inerme. Per questo rimaniamo perplessi davanti a tanti amici che ancora legano questa manifestazione all’idea di bombardamenti o interventi armati”. “Si chiede solo – aggiunge – la protezione dei civili e l’apertura di corridoi per favorire l’ingresso degli aiuti umanitari. Dunque, qual è il problema”?

Gli risponde la giornalista ed ecoattivista Marinella Correggia che gli contesta posizioni in Italia diverse da quelle “internazionali del Cns, che varie volte ai partner occidentali e arabi ha chiesto l’intervento armato o almeno la no-fly zone”. Dachan inoltre “non può ignorare che il ‘suo’ Cns ha sempre rifiutato ogni negoziato e ha un patto di collaborazione con i gruppi armati che ricevono armi, soldi e persone dall’estero. Che fanno decapitazioni, attacchi a civili e sabotaggi”.

Flavio Lotti preferisce evitare polemiche ma tiene a sottolineare che l’adesione alla manifestazione è fatta su una piattaforma più che chiara: “Dialogo, garanzie e aiuto alla popolazione civile e no a nuove armi che entrino in Siria ad alimentare il conflitto”. Detto questo, conclude, “in Siria c’è una legittima rivolta e non un complotto internazionale, anche se è un terreno di scontro di poteri forti esterni al Paese. I distinguo e la prudenza vanno bene ma il silenzio no e finora ce n’è stato abbastanza”.

Sergio Bassoli della Cgil aggiunge: “Quel che sta succedendo in Siria ha bisogno di una presa di posizione contro il governo siriano che non è in grado di garantire la sicurezza dei propri cittadini. Ma siamo per l’opzione politica e contro chi pensa a soluzioni militari interne o internazionali. La ‘lettera aperta’ fa parte delle interpretazioni e differenti posizioni fondate su letture politiche diverse e quindi rispettabili. Diventa però difficile da capire e da rispettare l’accusa di essere il traino di macchinazioni guerrafondaie”.

Insomma la “lettera aperta” viene rispedita al mittente e del resto non sembra aver fatto breccia più che tanto nel mondo del pacifismo italiano. Ma nonostante le ragioni della maggior parte del pianeta arcobaleno facciano quadrato attorno al pericolo di una stasi già vista (per cui, per evitare di sbagliare, è meglio limitarsi a stare a guardare), nemmeno gli altri hanno tutti i torti anche se corrono il rischio di essere confusi proprio con la propaganda del regime di Assad. L’informazione che viene dalla Siria è molto univoca perché proviene da due fonti inconciliabili che hanno tutto l’interesse a spararla più grossa. Le fonti indipendenti sono poche e su quelle giornalistiche è bene, a volte, essere prudenti, come nel caso di Al Jazeera, la tv che risiede in un Paese – il Qatar – che ha avanzato l’idea di un intervento addirittura di terra. Inoltre la galassia jihadista e quella più moderata dell’islam politico trovano in Siria terreno fertile nei gruppi di opposizione. La rivista strategica Stratfor ha messo in guardia sul rischio jihadista. Quanto a quello islamista non è una novità che Paesi come Qatar e Arabia saudita preferiscano appoggiare i Fratelli musulmani nei “nuovi” Paesi risvegliatisi con la Primavera araba che non gruppi laici e vagamente sinistrorsi. Una componente della società siriana che pure esiste ma ha poca voce e scarsissima risonanza. Nessuno la finanzia e tantomeno, gli fornisce armi come invece avviene con il cosiddetto Esercito libero della Siria, effettivamente sponsorizzato dal Cns.

di Emanuele Giordana

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