Ha rivelato il sistema della ‘ndrangheta in Piemonte, ma nei suoi attuali guai con la giustizia la criminalità non c’entra. Rocco Varacalli, l’uomo che dopo anni di affiliazione alle ‘ndrine ha deciso di collaborare con la legge, si è ritrovato imbrigliato in altre vicende giudiziarie: sabato sera è stato arrestato dai carabinieri di Quartu Sant’Elena (Ca) per il furto di cavi di rame (e da ieri ha l’obbligo di dimora), mentre il pm di Cagliari Alessandro Pili lo ha iscritto nel registro degli indagati per l’omicidio di un pastore.

Il furto di rame – Erano le 21 circa di sabato scorso quando Varacalli, che stava uscendo da una pizzeria di Settimo San Pietro (Ca), è stato fermato dai carabinieri insieme a un dipendente extracomunitario del suo allevamento e a una minorenne. Sul pick-up dell’uomo, i militari hanno ritrovato alcuni cavi elettrici contenenti rame (circa cento metri), presumibilmente sottratti alla rete di illuminazione pubblica: i militari, infatti, hanno scoperto segni di manomissione agli impianti di una zona del paese rimasta al buio. “Non c’è stata nessuna denuncia”, ha dichiarato al fattoquotidiano.it l’avvocato Stefania Bandinelli del foro di Cagliari. Secondo lei il fatto è strano: “Non rientra nella logica delle cose né nella logica del personaggio che – ha precisato – ha un reddito tale da non aver bisogno di rubare”. Lunedì pomeriggio il giudice Giuseppe Pintore ha convalidato la custodia cautelare in attesa del processo, assegnando l’obbligo di dimora a Varacalli e al suo dipendente.

La morte del pastore – Ma c’è un’altra vicenda, più grave, che coinvolge Varacalli, ed è la morte di un giovane pastore. Si chiamava Alberto Corona, aveva 22 anni, ed è stato ucciso da un colpo di pistola in bocca all’alba del 24 febbraio 2009. Grazie alla collaborazione del pentito nelle indagini dei carabinieri, fu processato un altro pastore, Francesco Baldussu, di 23 anni. Per l’accusa, Baldussu aveva ucciso Corona per gelosia, ma la Corte d’Assise lo ha assolto il 21 dicembre scorso.

Durante un’udienza della scorsa estate, però, l’ex compagna di Varacalli, Lucia Angioni, ha dichiarato: “Sono stata minacciata con una pistola puntata in faccia da Rocco, la mattina in cui ho saputo dell’omicidio di Alberto Corona”. Dopo una cena, l’uomo era tornato a casa visibilmente ubriaco, per recuperare una pistola. Al mattino comunicò alla donna che era morto un pastore. Lui, invece, afferma che quella notte dormiva, anche se dal suo telefonino risultano essere partite alcune chiamate e altrettanti messaggi. Dopo le dichiarazioni dell’ex compagna, però, il pm Pili ha aperto un’altra indagine sulla morte di Corona, ma nella requisitoria del processo a Baldussu ha affermato che avrebbe chiesto l’archiviazione per Varacalli. Al momento gli avvocati non hanno ricevuto ancora una notifica dell’atto.

La collaborazione coi pm torinesi – Varacalli ha cominciato a ‘parlare’con i magistrati della Procura guidata da Gian Carlo Caselli il 3 novembre 2006, dopo dodici anni di affiliazione alla ‘ndrangheta e “dopo 18 anni trascorsi nell’illegalità”, come ha detto lui stesso ai pm. Da due anni era un ‘camorrista di sgarro’, ma era tornato in manette – per la settima volta – per una vicenda di droga. E’ in questo momento che, “improvvisamente e del tutto inaspettatamente, ha deciso di cooperare con la giustizia”. Una decisione che ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia “appare sincera, spontanea e genuina” e presa non “in prospettiva di vantaggi e benefici personali connessi alla collaborazione prestata, ma perché veramente ‘pentito’ di quanto fino ad allora perpetrato e quindi determinato effettivamente ‘a cambiar vita’”. Ed è anche per cambiare vita che qualche anno fa Varacalli ha deciso di uscire dal programma di protezione e rinunciare agli assegni mensili così da avviare la sua attività economica. Di recente ha fatto scalpore la sua intervista a Domenico Iannacone per la trasmissione di Raitre Presadiretta, dove ha raccontato circa vent’anni di storia legata della ‘ndrangheta in Piemonte.

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