A leggere i giornali, ultimamente, viene spontanea una domanda: come siamo arrivati a questo punto? Banche declassate, isolette abbandonate a far da sponda a una immigrazione a cui nessuno sa fare posto, il debito alle stelle, il rischio di essere assaliti dalla speculazione, colpiti e affondati, la certezza di essere diventati oggetto di scherno, barzelletta mondiale, ultimi della classe in Europa, asini, ciucci, cialtroni. Una manovra che impoverisce i ceti medi, ferisce gravemente i meno abbienti, ammazza i precari e nemmeno sfiora gli interessi della casta.

Gli scandali, le malversazioni, il sesso-mercato sono così inflazionati che il disgusto scolora nella noia. Non funzionano neppure come spunti per autori satirici, ormai. Del resto: non abbiamo più voglia di ridere. Lo scontento è visibile, la sfiducia generalizzata. E il Capo di questo governo squalificato è sempre lì: torvo, contratto, il vecchio sorriso da imbonitore ridotto a una smorfia, la chiacchiera populista trasformata in un balbettio da dodicenne dispettoso: no, no, e poi no, non me ne vado! Il Paese è di m… ma io la voglio. Mi tira. L’avete capito o no che sono un vecchio vizioso?

Il Fatto Quotidiano. 23 settembre 2011

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