Un milione di Suv contro una singola ibrida. Brutta sorpresa, per chi sperava di vedere nella Cina del boom – che ha portato a più di un miliardo i veicoli circolanti a livello mondiale – il pioniere della mobilità sostenibile: nonostante i sussidi governativi per le vetture ecologiche, gli Sport Utility Vehicle hanno molto più successo delle auto ibride o elettriche. Nel 2010 ne sono stati, infatti, venduti 850mila (24% in più rispetto all’anno precedente), inclusi 425 Hummer, contro pochi esemplari di veicoli “verdi”. L’insuccesso più eclatante? Quello della Toyota Prius, il modello di auto ibrida più popolare al mondo, che dai 200 esemplari venduti nel 2009 è crollata ad una sola vendita in Cina nel corso dell’intero 2010. È l’altra faccia dell’enorme crescita cinese, con quasi 100.000 nuovi veicoli al giorno (35 milioni solo nel 2010). Negli ultimi dieci anni, il numero di auto e moto è aumentato di venti volte e pare destinato a raddoppiare: nel 2030 ci saranno più vetture nella sola Repubblica Popolare di quante ce ne fossero nel mondo intero dieci anni fa.

Ambientalisti in allarme: se le nuove auto sulle strade cinesi saranno come quelle vendute finora, le metropoli potrebbero non essere in grado di sostenere i conseguenti livelli di inquinamento. Per la società di consulenze IHS Automotive con sede Shangai non ci sono dubbi: il governo di Pechino ha decisamente sopravvalutato il potenziale interesse dei suoi cittadini per i modelli di auto più sostenibili. Ne è un chiaro esempio l’incredibile crollo di vendite di Toyota Prius, ma non solo. Anche il produttore nazionale BYD Auto, che con il supporto del governo puntava alla costruzione (e vendita) di un milione di veicoli elettrici all’anno entro il 2015, si trova a dovere rifare completamente i suoi calcoli.

Nonostante i sussidi da 6.500 euro per i veicoli elettrici puri e da circa 5.300 euro per quelli a propulsione ibrida, secondo IHS Automotive gli acquirenti sono stati pochi perché le auto tradizionali sono ancora meno costose e considerate più affidabili. Soprattutto considerando i problemi legati alla tecnologia delle loro batterie. Sembra così improbabile, per la società di consulenze, che i veicoli “verdi” possano veramente rappresentare un quinto del parco auto cinese entro i prossimi 5 anni: “Sarebbe opportuno che il governo rivedesse i suoi target”, affermano da IHS.

E così sarà. I trend vanno, infatti, in direzione opposta rispetto alle ambizioni del governo di Wen Jiabao di creare una nazione più equa e più sostenibile dal punto di vista ambientale. Serve una nuova strategia, ammettono da Pechino, che porti a rivedere i piani senza che lo Stato abbandoni il suo desiderio di promuovere la “clean car technology”.

C’è però anche chi vede un futuro positivo, nel mercato dell’auto cinese. Non solo marchi come Audi, Bmw e Rolls-Royce, i cui profitti sono schizzati alle stelle anche grazie alla crescente ricerca del lusso da parte dei cinesi più facoltosi. O Mercedes, che ha celebrato all’inizio di quest’anno il maggior numero di auto vendute in un singolo mese dalla sua fondazione, avvenuta circa 110 anni fa. Ma anche produttori come l’americana GreenTech Automotive, pronta a scommettere sul mercato asiatico tanto da volere costruire, con Shengyang ZhongRui, uno stabilimento in Mongolia capace di assemblare fino a 300mila auto elettriche ed ibride ogni anno.

Sembrano davvero esserci possibilità di profitto per tutti, nella Repubblica Popolare Cinese. Resta da vedere se sarà davvero così, in un Paese in cui i livelli di congestione del traffico sono già tali da superare ogni limite di inquinamento consentito, ed in cui si stanno prendendo misure, come si fa da qualche tempo a Pechino, che limitino drasticamente il rilascio delle patenti di guida. Attualmente in Cina solo una persona su 16 possiede un’auto. Se o quando si dovessero raggiungere i livelli degli Stati Uniti, dove tre persone su quattro sono proprietarie di un veicolo a motore, la Repubblica Popolare metterebbe in circolazione 900 milioni di auto in più: quasi l’intero parco auto mondiale odierno. Una prospettiva inquietante. Che, presto, potrebbe spaventare più gli stessi cinesi che gli ambientalisti.

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