All’indomani del referendun di Mirafiori, ci confrontiamo con una percentuale di “no” molto più alta del previsto. I pronostici dei giorni scorsi davano il sì proiettato verso il 70 per cento, per qualcuno l’80 addirittura. Ed è questa la ragione che ha spinto molti esponenti anche del Pd (da D’Alema a Veltroni, fino a Fassino) a schierarsi per il sì, con il tono di chi è in sintonia con la volontà popolare prevalente. Le stesse previsioni sembrano aver incoraggiato i distinguo di Susanna Camusso, che ha schierato la sua Cgil su una linea divergente da quella della Fiom di Landini.

Ci siamo trovati a sorpresa, davanti ai cancelli di Mirafiori, in una piazzale trasformato in set televisivo, con anche quattro diversi collegamenti tv in diretta contemporanei, con i no proiettati oltre il 40 per cento, un risultato forse superiore a quello di Pomigliano dell’estate scorsa, che pure sembrava un exploit irripetibile. Gli stessi dirigenti della Fiom sono sembrati impreparati, e hanno reagito ai primi incoraggianti risultati con malcelata euforia.

Ma allora che cosa è successo? In attesa di vedere bene le conseguenze del voto di questa notte, la prima constatazione è che la classe dirigente di questo Paese, tutta insieme (locale e nazionale, politica e sindacale, di destra e di sinistra, di governo e opposizione), e naturalmente con Sergio Marchionne per l’occasione alla sua testa, non ha capito niente di che cosa hanno in testa gli italiani. La rumorosa minoranza Fiom si è trasformata di colpo, a mezzanotte, in una quasi maggioranza. L’isolato Maurizio Landini, che da solo ha sfidato Marchionne, da residuo del passato si trasforma in unico dirigente in sintonia con il popolo (a sua insaputa, però).

Nessuno si è preso la briga di indagare davvero sugli umori degli operai Fiat. Tutti, anche i ministri e i capi dei partiti, si sono informati alla televisione. Anche Marchionne?

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