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Israele corre contro il tempo per eliminare la minaccia iraniana: che cosa si rischia

Se il coinvolgimento americano dovesse ampliarsi e l’Iran si rifiutasse di de-escalare, il conflitto potrebbe superare la dimensione nucleare
Israele corre contro il tempo per eliminare la minaccia iraniana: che cosa si rischia
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L’Iran si trova ad affrontare un crescente dilemma logistico e militare nel sostenere il conflitto, perdendo progressivamente la capacità di colpire efficacemente Israele, nonostante continui a lanciare un numero limitato di razzi. Questi attacchi mirano a dimostrare che Teheran è ancora in grado di colpire nel profondo del territorio israeliano, alimentando l’idea di una “deterrenza parallela”, ma senza incidere realmente sull’equilibrio strategico.

Dall’altra parte, Israele prosegue con operazioni militari ininterrotte, accelerando i tempi per colpire tutti gli obiettivi predefiniti prima di entrare in una fase di logoramento che potrebbe compromettere la sostenibilità dell’azione. Pur godendo di una superiorità militare, tecnologica e d’intelligence — e di un dominio totale dello spazio aereo iraniano — l’apparato militare israeliano mostra segni di esaurimento, in particolare l’aeronautica, impegnata in operazioni estese su territori vasti, che richiedono enormi sforzi logistici e manutentivi.

Questa dinamica potrebbe spingere Tel Aviv ad adottare una strategia di “prioritizzazione”, concentrandosi su obiettivi critici come l’eliminazione di comandanti iraniani, l’infrastruttura missilistica e il programma nucleare, soprattutto ora che le difese aeree israeliane risultano sempre più sotto pressione.

Nonostante l’Iran abbia esaurito oltre il 60% del proprio arsenale missilistico balistico, mantiene comunque una certa capacità offensiva — a meno che Israele non riesca a distruggere ciò che resta nei siti di stoccaggio blindati. Questo potrebbe indurre lo Stato ebraico ad avviare uno scenario di “fase finale”, con attacchi mirati mediante bombe ad alta penetrazione per paralizzare le strutture iraniane di comando e controllo. Tali operazioni potrebbero essere accompagnate da incursioni speciali segrete in profondità nel territorio iraniano, affidate a unità d’élite, e coordinate con cyberattacchi contro infrastrutture vitali come reti energetiche, sistemi idrici e database civili.

Di contro, Teheran potrebbe scegliere la sua ultima carta: lanciare in un’unica ondata l’intero arsenale missilistico rimasto, colpendo obiettivi simbolici e strategici in Israele — in particolare Haifa, Dimona e i poli industriali nel sud. Sebbene si tratterebbe di un’azione suicida, potrebbe rappresentare un ultimo tentativo di riequilibrare il quadro strategico prima dell’apertura di eventuali negoziati.

A livello regionale, gli strumenti di proiezione iraniani non sono più efficaci come un tempo. Israele ha calibrato la propria offensiva dopo aver neutralizzato i fronti circostanti, in particolare Siria e Libano. Hezbollah non è ancora entrato in azione, ben consapevole delle conseguenze devastanti che un’apertura del fronte comporterebbe per il Libano. Per ora, mantenerlo come minaccia potenziale, ma non attiva, appare la scelta più strategica. L’efficacia degli Houthi è fortemente diminuita, mentre le milizie irachene potrebbero attivarsi solo nel caso di un attacco israeliano su larga scala contro l’Iran o di un intervento diretto degli Stati Uniti, spingendole a colpire interessi americani in Iraq, Siria o persino in Giordania.

L’intervento diretto di Washington ha già rimosso ostacoli fondamentali all’attacco contro i siti nucleari iraniani, in particolare Fordow e Bushehr. Il primo era considerato quasi invulnerabile per la sua posizione fortificata, mentre il secondo solleva timori di ricadute radioattive catastrofiche nel Golfo. Eppure, Israele ha continuato a colpire e a disturbare il funzionamento di tali impianti.

Malgrado i raid statunitensi e l’appello del presidente Trump all’Iran a tornare al tavolo negoziale, il protrarsi dell’escalation — soprattutto se minacciasse asset americani — potrebbe spingere Israele a cogliere un’occasione rara: colpire la leadership politica iraniana, inclusi la Guida Suprema o figure centrali del Consiglio di comando. Un’azione rischiosa, ma non da escludere.

Se il coinvolgimento americano dovesse ampliarsi e l’Iran si rifiutasse di de-escalare, il conflitto potrebbe superare la dimensione nucleare e sfociare in attacchi mirati a minare la tenuta interna del regime — aprendo lo scenario di un possibile cambiamento di sistema. I prossimi giorni restano aperti a ogni sviluppo. Prima dell’intervento statunitense, Israele accelerava le operazioni per colpire l’ossatura del regime. Ora, con Washington impegnata direttamente contro i siti nucleari, imporre all’Iran la fine del conflitto potrebbe non equivalere a una vittoria strategica totale, ma garantirebbe un successo operativo sufficiente a chiudere la fase militare, aprendo la strada a un confronto politico e diplomatico prolungato, che difficilmente si concluderà senza una trasformazione profonda del regime iraniano.

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