“Non ci si può fidare dell’immagine. Spesso quel che c’è dietro una fotografia è il suo esatto contrario”, riflette Venditti. Del resto, “siamo in un’epoca in cui ci nutriamo di cazzate, bugie, apparenze”. Allora come valutare, gli chiediamo a pochi minuti dallo start dal primo dei suoi tre concerti a Caracalla, quel frame-choc degli studenti che festeggiano l’ultimo giorno di scuola in un liceo romano alzando le braccia nel saluto romano? “Non le vedo, le ignoro. Le mani tese rivelano un contesto misero, e fossero pure dieci o cento restano irrilevanti, nella loro logica”.
Anche se questi ragazzi potrebbero essere tra i 500mila che quando suona la campanella intonano “Notte prima degli esami” nel rituale scaramantico che precede la maturità. Gli studenti che stamattina si sono ritrovati le tracce con Borsellino, Tomasi di Lampedusa, Pasolini, e che di quella vecchia canzone di Antonello faranno un feticcio, quando il clic della memoria farà da tonico alla nostalgia. “Ogni anno la mia canzone rinnova il suo significato, per tanti. I giovani, i loro genitori, i prof. Due milioni di persone”.
È il consolidato ripasso emozionale che il repertorio del cantautore romano concede a ogni live, il bignamino di storia patria che intreccia la rilegatura con un’educazione sentimentale analogica, testardamente in 3d. E il “Notte prima degli esami 40th anniversary tour 2025 edition”, anche se non fa più cifra tonda come 12 mesi fa (l’album “Cuore”, intelaiatura del set, era uscito nel 1984) è occasione per ributtare nella scaletta anche un pezzo che “mi fa ancora male cantare”.
La tragedia di “Lilly”, mai metabolizzata da mezzo secolo: “Non si muore più di eroina? Oggi siamo spostati su un altro tipo di droga, è quella diciamo ludica, che ti porta allo stupro, ti fa vivere sentazioni disumane e comportare da bestia. Mentre l’eroina”, sottolinea Venditti, “era il frutto di una volontà di Stato di distogliere i sottoproletari dai loro problemi, nei 70 c’era una gioventù disperata, emarginata. La tossicodipendenza non si chiamava così, li si definivano i drogati, non c’era la comunità di San Patrignano, bensì il carcere per quelli che aiutavano, tant’è vero dovevi accompagnare i tuoi amici davanti ad un ospedale, se no andavi in carcere tu. Stiamo parlando di una generazione che ha subito l’abbandono totale”.
Poi arrivarono gli 80, e quella che Antonello definisce sarcasticamente “l’allegra cocaina”, il Novecento nazionale che virava verso la Milano da bere, il primo governo Craxi e Bobo che sull’Avanti incenerisce la vendittiana “L’ottimista” dedicata a Bettino. “Ma anche se Bobo scrisse cose orrende su di me, io gli voglio un bene dell’anima, perché è impossibile avvicinarsi a un padre che nella sua assenza è divenuto leggenda”. I padri di sangue e quelli d’arte. Antonello vede crescere i suoi epigoni, e ora che Ultimo ha finito lo svezzamento con l’autore di “Roma Capoccia”, ecco il feeling con Achille Lauro: i due proporranno in autunno una nuova versione di “Che tesoro che sei”, “E Lauro mi ha fatto scoprire cose che non avevo notato di questa mia canzone del 1999”.
Pensando ai giovani colleghi, Venditti ha sottoposto al governo una bozza di legge per tutelare la scena musicale italiana,“Escono dai talent uno via l’altro, come se fossero tra loro avversari. Sono fragili e vanno in frantumi. Abbiamo visto che per alcuni serve un sostegno psicologico, e quanto alle tournée, lo Stato dovrebbe reperire fondi per le aree dove andare a suonare costa di più, e questo crea disparità culturale. Detto questo, la nuova generazione di cantanti non può nascere con l’obbligo del sold out incorporato. Noi facevamo il nostro percorso maturando nei locali, dalle cantine: ora è come se in un attimo si debba passare dalle elementari all’università. Conta solo il risultato, il numero, non la tua creatività”.
Ci vorrebbero amici illuminati per sostenersi a vicenda, come facevano i quattro ragazzi con la chitarra e il pianoforte sulla spalla. “E il quinto poteva essere Dalla. Quando volevo suicidarmi per la separazione da Simona Izzo, e meditavo di lanciare a tutta velocità la mia Golf color ramarro, Lucio mi convinse a tornare a Roma, che per me era diventata come la kriptonite, dalla Lombardia, dove mi ero autoesiliato negli studi del Castello di Carimate. Mi passò un bigliettino con il numero di una ragazza che voleva vendere la casa di Trastevere in cui il marito l’aveva tradita con chissà quante. Lei era bellissima, tra noi scattò una potente attrazione sessuale, io comprai la casa. Lucio, nel frattempo, stava scrivendo quel disco meraviglioso con ‘La sera dei miracoli’, e dentro c’ero anch’io. Dalla e Roma mi salvarono la vita”, una volta fuori dal buio catartico dove nei vicoli qualcuno stava facendo a pezzi una canzone.
(Foto di Roberto Panucci)