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Referendum 8/9 giugno: oltre i tecnicismi, tanti motivi pratici per cui votare

E' innegabile che i problemi sottesi ai quattro quesiti sono dannatamente reali e per questo non trascurabili. La risposta dei cittadini non deve farsi mancare
Referendum 8/9 giugno: oltre i tecnicismi, tanti motivi pratici per cui votare
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di Federico Avanzi*

L’8 e il 9 giugno prossimi, i cittadini aventi diritto al voto saranno chiamati a esprimersi su cinque importanti quesiti referendari, con finalità abrogativa, di cui uno in tema di cittadinanza e ben quattro, promossi dalla Cgil, in materia di lavoro. Riguardo quest’ultimi, al sostanziale silenzio dei media e delle pubbliche istituzioni, fa invece da contraltare un vivace dibattito fra gli addetti ai lavori (professori, avvocati etc.), che fin da subito hanno colto le notevoli implicazioni teoriche, ma soprattutto pratiche, celate dietro gli aggrovigliati interrogativi promossi dal sindacato di Corso d’Italia.

E tuttavia, non vi è dubbio che una traduzione “semplificata” possa esibirsi anche ai non specialisti, come aziende e lavoratori, quali soggetti in via prioritaria coinvolti dall’esito della consultazione, potendo da ciascuna delle questioni ricavarsi, in essenza, visioni, scelte di politica del diritto ed effetti sulla quotidianità estremamente differenti fra loro.

A cominciare dal numero 1, volto a sopprimere la norma simbolo del Jobs Act, il DLgs 23/2015 c.d. Tutele crescenti, che per i dipendenti assunti dal 7 marzo 2015 ha ridisegnato il sistema di garanzie contro i licenziamenti illegittimi, con il dichiarato intento di limitare l’ipotesi di reintegrazione in azienda, a favore di un rimedio meramente indennitario e graduato a secondo del vizio del recesso accertato giudizialmente.

Un impianto, a detta della Corte Costituzionale, determinante un complessivo arretramento delle tutele (C. Cost. n. 12/2025) e che nonostante i plurimi interventi di correzione e adeguamento al dettato della Carta (C. Cost. n. 194/2018, 150/2020 e n. 22, 128 e 129/2024), continua a preservare tratti recessivi anche rispetto all’art. 18 versione post Fornero, disciplina in esaurimento poiché applicabile ai soli dipendenti già in forza all’entrata in vigora della riforma targata Renzi.

Di modo che, non solo la cancellazione di un “doppio sistema” scriminato dalla sola data di assunzione risponderebbe all’invito della Consulta a “ricomporre secondo linee coerenti una normativa di importanza essenziale”, ma lato pratico consentirebbe di ri-espandere le ipotesti del diritto al “ritorno” in azienda nei casi d’ingiusto licenziamento disciplinare (Cass. 11665/2022) ed economico (C. Cost. n. 59/2021 e 125/2022), compresi quelli coinvolgenti un numero elevato di lavoratori, c.d. “collettivi”.

Nello stesso senso il quesito numero 2, che in caso di vittoria abbinata del Sì, offrirebbe una forte risposta all’inadeguato sistema di rimedi previsti per i dipendenti delle piccole aziende, identificate col requisito occupazione dei più 15 dipendenti per ciascuna sede o 60 nel complesso e che attualmente prevede, salvo il caso di licenziamenti discriminatori o affetti da nullità, un esiguo indennizzo economico, ordinariamente fissato non oltre le 6 mensilità.

Per vero, l’espunzione del “tetto” contenuto all’art. 8 L. 604/1966 consentirebbe al giudice, una volta accerta l’illegittimità del recesso e previa adeguata motivazione, di calibrare il ristoro economico a seconda del caso concreto, assicurandone in tal modo la funzione risarcitoria e dissuasiva; a tal proposito, da notare come a quasi tre anni dal monito della Corte Costituzionale a intervenire per via legislativa (C. Cost. 183/2022), proprio la questione delle imprese under 15 sia stata nuovamente rimessa al vaglio di costituzionalità, il 29 novembre scorso, dal Tribunale di Livorno.

Con il quesito numero 3 invece, i promotori si prefiggono il radicale mutamento della disciplina sul contratto a termine, che in ipotesi di affermazione del SI, sarebbe consentito solo per sostituzione di lavoratori assenti o nei casi previsti dalla contrattazione collettiva sottoscritta dai sindacati comparativamente più rappresentativi. Una prospettiva più rispondete al diritto UE e in particolare alla direttiva 1999/70, che riconoscendo nei contratti a tempo indeterminato la forma comune dei rapporti di lavoro, tenderebbe a escludere l’apposizione di “scadenze” al contratto, sé funzionale a soddisfare esigenze aziendali di natura durevole.

Di contro a normativa vigente, fino a 12 mesi e con possibilità di ingaggiare dipendenti sempre diversi, il datore di lavoro ha piena discrezionalità nel ricorso al tempo determinato, tanto è vero che ben oltre la metà delle nuove assunzioni avviene oggi, per l’appunto, mediante questa tipologia contrattuale.

In ultimo, il quesito numero 4, che ponendo istanza di parziale abrogazione dell’art. 26 comma 4 DLgs 81/2008, punta a irrobustire la responsabilità del committente in evenienza di infortuni patiti dai lavoratori assunti da appaltatori e subappaltatori.
Un ambito, quello dell’outsorcing in generale, che non soltanto si connota per pratiche di dumping contrattuale tese a ridurre quanto più possibile e illecitamente il costo del lavoro, ma anche per applicare lo stesso “parsimonioso” approccio nei riguardi degli oneri necessari alla salute e sicurezza dei dipendenti impiegati nella commessa, ponendosi così quale causa fondamentale delle più che quotidiane morti sul lavoro registrate nel Paese.

Qualora prevalesse il Sì, la garanzia posta in capo all’azienda commissionaria sarebbe totale, includendo pure i danni derivanti da rischi specifici dell’attività esternalizzata, con il presumibile effetto positivo di ricondurne la logica di selezione delle aziende esecutrici in senso virtuoso e non più, prevalentemente, con criterio del “massimo ribasso”.

Insomma, se è pur vero che su temi così importanti e tecnicamente intricati il referendum abrogativo non risulta certo la migliore delle vie, è altrettanto innegabile che i problemi sottesi ai quattro quesiti sono dannatamente reali e per questo non trascurabili oltre, di modo che a supplenza e sprone dell’inerte legislatore, la risposta dei cittadini, foss’anche solo con il raggiungimento del quorum, non può e non deve farsi mancare.

*Consulente del Lavoro

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